di Paolo Maccallini
“Decidere di raccontare e di pubblicare il resoconto dettagliato della vita di un paziente, di mostrarne la vulnerabilità e la malattia, è una questione moralmente delicata, piena di pericoli di varia natura.”
Oliver Sacks
Narrativa medica
Le malattie di cui parlo in questo blog non sono state ancora opportunamente raccontate, non esiste una letteratura e una filmografia consistente che possa rendere al grande pubblico le disavventure di questo popolo sommerso. Nessuna Susanna Kaysen ha descritto l’interruzione di queste vite, e non c’è stata una Kay Redfield Jamison che abbia potuto restituire, con la doppia autorità della scienza e della esperienza diretta, l’inquietudine soffocata delle loro menti. Oliver Sacks è morto prima di poter descrivere gli sporadici risvegli di alcuni di questi pazienti, e forse non lo avrebbe mai fatto comunque. Probabilmente le storie di queste vite perse non sono interessanti, dal punto di vista narrativo, semplicemente perché non c’è storia. Basterebbe una pagina bianca a descriverle, o un lungo silenzio. In fondo si tratta solo di agende senza memorie. Nessun Ron Howard farebbe un film su una pagina vuota: il vuoto e l’assenza non possono essere raccontate, perché non c’è nulla da raccontare. Si può però rendere l’inizio della fine, che è una fase dinamica in cui una narrazione possibile esiste. Io vorrei provare a raccontare l’inizio della fine con delle immagini. A volte le immagini parlano più della scrittura, e in fondo la pittura è stato il primo mezzo con cui la nostra specie ha lasciato un racconto duraturo di sé, nelle grotte della preistoria europea.
Le parole non bastano
All’inizio dell’ultimo episodio della mia malattia (inizio del 2002), che poi sarebbe stato l’inizio della fase cronica, persi improvvisamente gran parte delle mie capacità intellettive, a seguito di un episodio simil-influenzale. Era già successo nei quattro anni precedenti, e ogni volta mi ero faticosamente ripreso. Ma quella volta fu definitiva. Avevo appena sostenuto tre esami complicati all’università, superati con il massimo dei voti, e improvvisamente dovetti ammettere che la concentrazione, la memoria, l’immaginazione e l’intuito erano fuori uso. Non potevo nenche più leggere una pagina di narrativa. Non ne capivo il contenuto. Nei cinque mesi successivi poi una fatica fisica massiccia mi avrebbe progressivamente bloccato in casa, per lo più a letto. Sviluppai anche una disfunzione del sistema circolatorio (la POTS) che mi avrebbe impedito, di lì a poco, persino di stare seduto per più di pochi minuti. Allora non sapevo nulla di quello che mi era successo, sapevo solo di essere nei guai. E non mi sbagliavo, perché 15 anni dopo cerco ancora di riprendermi, senza riuscire. So di non poter raccontare il cambio brusco che subì la mia vita in quei giorni, lo so perché ho provato centinaia di volte, di fronte agli interlocutori più disparati: amici, parenti, medici. Fallendo ogni volta. Perché le parole non bastano. Per questo motivo ho pensato di cercare di narrare la mia caduta attraverso dei disegni, disegni miei, fatti in periodi diversi.
Figura 1. Un soggetto simile (nudo maschile di spalle) disegnato dalla stessa persona, nella fase iniziale della malattia e poi due anni dopo.
Racconto per immagini
Nella figura 1 abbiamo lo stesso soggetto (un nudo maschile di spalle) ritratto dallo stesso autore (cioè io) in due momenti diversi: a sinistra siamo alla fine del 2002, durante un breve periodo di relativo recupero, a un anno dall’esordio di cui ho parlato sopra; a destra un disegno del maggio 2005, due anni e mezzo dopo. L’autore non sembra nenche più la stessa persona. Il disegno a destra non vuole essere uno schizzo, non è un appunto veloce. Riflette le mie capacità grafiche di quel momento. Semplicemente non avrei saputo fare di meglio. Come si vede la comprensione anatomica è diventata rudimentale, il tratto è impreciso, si è perso completamente il canale espressivo del colore e il senso della profondità. La simmetria è vistosamente violata nei dorsali, che sono più voluminosi nell’emisoma sinistro. All’epoca avevo 25 anni, e da allora ho faticosamento recuperato alcune capacità nel disegno (ho re-imparato faticosamente a disegnare) ma ho perduto definitivamente il senso del colore e quello della profondità. Il danno che ho subìto nell’ambito logico-matematico è stato ancora più profondo e doloroso, ma mi rendo conto che non posso raccontarlo per immagini. Il danno fisico è stato altrettanto importante: dai 22 anni sono rimasto vincolato alla vita domestica, spesso a letto, perché anche il più banale sforzo fisico innesca un peggioramento che può durare da un solo giorno ad alcuni mesi. Anche questo non può essere raccontato per immagini.

In figura 2 c’è un confronto fra due miei autoritratti, uno eseguito nel 1998 (quello a sinistra), l’altro nel 2005. Anche qui è evidente una perdita notevole di precisione del tratto e di comprensione delle proporzioni. Il volto a destra è semplificato e deformato, allungato in modo innaturale. Completamente assente il tentativo di rendere il volume con le ombre. E ancora una volta, questo effetto non era voluto. Semplicemente questo era il massimo che potessi fare in quel momento.

In figura 3 un confonto fra due figure sedute. A sinistra un dipinto ad olio che ho eseguito a 17 anni, copiando la Sibilla Delfica di Michelangelo, un personaggio della Cappella Sistina. Dopo la malattia ho perduto la capacità di dipingere, oltre al ‘senso’ del colore, come detto. Nonostante diverse ingenuità, la figura di sinistra è incomparabilmente migliore, sotto ogni punto di vista, rispetto alla immagine riprodotta a destra, un soggetto maschile seduto, eseguito nel 2005, alcuni anni dopo l’esordio della malattia. Anche qui, gli autori sembrano due persone diverse, separate da un muro di piombo.
Perché?
Con queste quattro immagini ho voluto provare a raccontare un percorso che condivido con altre persone. Questo particolare tipo di danno cognitivo, seppure forse non comune, si verifica in molti soggetti, tendenzialmente giovani, ed è associato a una altrettanto importante disabilità fisica. Difficile risalire ai meccanismi che lo producono. Ho sempre desiderato sapere cosa mi fosse successo, e come porvi rimedio, fin dal primo giorno di malattia. Ma per molti anni semplicemente sono stato troppo malato per poter solo fantasticare di riuscire a risolvere il problema.
Tuttavia ora so molto di più. So di avere avuto nel 2000 una lesione cutanea poco conosciuta, riconducibile alla malattia di Lyme, la lymphadenosis benigna cutis dell’areola mammae (Trevisan G et al. 1996), so di aver sviluppato nel tempo una ipoestesia in sede acrale responsiva ai beta lattamici, e quindi compatibile con una infezione da Borrelia afzelii (Ogrinic K et Maraspin V, 2016); nel mio sangue periferico è stato possibile amplificare una sequenza genetica che coincide con il gene che codifica per la flagellina di Borrelia burgdorferi sensu lato (Bonin S 2016), nel 2014. Il mio sistema immunitario innato è profondamente alterato con livelli di IL-1beta, IL-8, IL-6, MCP1, MIP-1beta che sono da decine a centinaia di volte oltre il massimo del valore normale. Il mio sistema immunitario adattivo produce anticorpi contro il sistema nervoso centrale. Senza entrare nei dettagli, si consideri che ciascuna di queste disfunzioni immunitarie è nota per indurre danni al sistema nervoso centrale (Sankowski R et al. 2015) e ad altri sistemi. Soddisfo i criteri per la diagnosi di sindrome da tachicardia posturale ortostatica (diagnosi strumentale). Il mio quadro clinico soddisfa i criteri per la ME/CFS, specialmente quelli proposti nel 2015 dall’Institute of Medicine (IOM, 2015). E continuo a cercare.
La mia storia non ha un valore particolare, se non nel fatto che non è unica e mette a fuoco un problema molto più grande di me, che deve ancora trovare una soluzione.
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