Mi è stato chiesto di scrivere due righe che potessero sintetizzare quali sono i problemi attuali nella malattia di Lyme e quali dovrebbero essere i campi di intervento per migliorare la situazione. Questi argomenti sono trattati nel blog, con un ampio corredo bibliografico. Ma volendo sintetizzare, ciò che segue è quello che penso.
“Il problema maggiore nella malattia di Lyme attualmente è quello rappresentato dai pazienti con sintomi cronici. Per questo gruppo di pazienti (che ricade sotto la entità nosografica denominata post-treatment Lyme disease syndrome, PTLDS) non esistono terapie approvate, in nessuna nazione europea e – a quanto ne so – nel mondo.
I pazienti sono da un lato sminuiti nella loro sofferenza da medici che negano l’obiettività dei sintomi cronici e dall’altro sono oggetto di vere e proprie truffe da parte di cliniche private che offrono test privi di validazione scientifica e terapie di efficacia non dimostrata e potenzialmente dannose.
Non è nota la causa della persistenza dei sintomi dopo le terapie raccomandate e le ipotesi considerate sono: persistenza della infezione, presenza di altri agenti patogeni non identificati e non trattati, disfunzioni immunitarie, danni residui ai tessuti, danno al microbiota. Nessuna di queste ipotesi è stata dimostrata in modo convincente.
Penso sia un dovere occuparci di questi pazienti, fino ad oggi completamente trascurati dalla medicina e rifiutati dal sistema sanitario. Sarebbe auspicabile una strategia di ricerca aggressiva che investighi i seguenti punti:
- lo sviluppo di un test per la infezione attiva da Borrelia burgdorferi;
- la ricerca della eziologia dei sintomi cronici, attraverso indagini immunologiche, metabolomiche, metagenomiche, genomiche, proteomiche, di espressione genica, di brain imaging etc;
- trial clinici con terapie innovative per la fase cronica;
- studi di microbiologia sul fenomeno della persistenza batterica, ormai ampiamente documentato in vitro nel caso di Borrelia burgdorferi (R);
- studi di neuroimmunologia che approfondiscano il dato riportato in due ricerche di ampio respiro, secondo il quale il 50% di questi pazienti presentano anticorpi contro il sistema nervoso centrale e periferico (R).
Studi su questi ambiti sono già in corso negli USA, ma date le specificità europee dell’agente patogeno e delle manifestazioni cliniche, è possibile che i risultati ottenuti nel Nuovo Mondo non siano del tutto applicabili ai pazienti europei ed è pertanto necessario che le nostre università conducano le proprie investigazioni. Non ci si può adagiare sui risultati prodotti oltreoceano.
Bisogna incoraggiare i giovani ricercatori a scegliere questo campo per la loro carriera, presentando la malattia cronica come un problema insoluto e difficile da risolvere, ma affascinante in quanto interdisciplinare, a cavallo tra la microbiologia, l’immunologia, le neuroscienze, lo studio del metabolismo, la ingegneria degli strumenti diagnostici, la bioinformatica etc. Si deve inoltre sottolineare che lo studio di questa condizione cronica potrebbe avere ricadute positive su altre malattie, come ad esempio quelle neuroimmuni, con prospettive di grandi benefici per la collettività, che possono esulare dall’ambito della PTLDS.”
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