“e in un lampo sono cifre i miei pensieri, uno e zero la solitudine e il nulla bit, il canto di una cincia fra olmi e faggi di nessuno nel bosco che valica gli eoni”
In figura il tipo di approccio che si usa oggi per provare a comprendere cosa accade in pazienti con ME/CFS.
Solo la scansione del genoma genera 3 milardi di coppie di caratteri (combinazioni dei caratteri A, T, C, G). Se supponiamo che si usino 2 bit per registrare le 4 lettere (2 bit permettono di registrare giusto 4 elementi diversi) allora abbiamo 1,5 Gigabyte di dati per ogni paziente, solo per la parte genetica.
Ma la scansione del genoma è solo una piccola parte dell’approccio investigativo usato da quelli di Stanford.
E nella mente mi tornano le parole di una dr.ssa di malattie rare ad Udine che sfogliando la mia ponderosa cartella di esami, sospirava sconsolata, e rimproverandomi disse che non dovevo fare tante analisi. Senza però poi sapermi fornire soluzioni per un problema che ho urgenza di risolvere.
Quello che si può auspicare è che la gestione delle malattie rare sia col tempo trasformata da un campo medico a un campo prevalentemente informatico-matematico, e in qualche modo automatizzato. Dovrebbero essere i computer a identificare le malattie rare, anche perché nessun essere umano può gestire nella sua mente miliardi di bit, per quanto talentuoso sia.
Sono perfettamente d’accordo. Basta osservare lo sgomento sui volti dei medici alla vista di copiose documentazioni per capirlo. Ma in un futuro neanche troppo lontano, un supercomputer farà questo lavoro per noi. Allora capiremo finalmente se le mancate diagnosi sono davvero frutto di superficialità e incomprensioni o di una precisa volontà “politica”, volta a scoraggiare la ricerca della verità e le relative istanze socioeconomiche…
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