La prima parte è disponibile qui.

Letteratura

Non riuscendo a dedicarmi a cose impegnative, per i capricci della malattia, decido di leggere il romanzo il giorno stesso. Non sono un consumatore di narrativa, se non sporadicamente: vista la fatica disumana che mi costa decifrare il linguaggio, ho rinunciato ai romanzi, e la libreria dei classici è il mausoleo di una vita precedente. Mi dedico a un altro genere ora, gli articoli scientifici, un tipo di letteratura che pur ignorando l’esistenza dei verbi fraseologici e delle subordinate, è molto più avvincente di qualunque trama immaginata, perché racconta la verità della Natura, che ha sempre più fantasia degli esseri umani. Certo, anche nei romanzi o nelle poesie si possono trovare brandelli di verità, ma sono solo soluzioni molto particolari di sistemi di equazioni differenziali di portata generale, diluite in formicai di inchiostro senza fine e per lo più senza senno. Come diceva Seneca al suo Lucilio riferendosi ai lirici? Nec ego nego prospicienda ista, sed prospicienda tantum et a limine salutanda, in hoc unum, ne verba nobis dentur et aliquid esse in illis magni ac secreti boni iudicemus¹. La poesia della prosa del Newton dei Principia Mathematica echeggia intatta nel cuore degli abitanti di ogni angolo dell’universo; ma lo stesso non può dirsi delle carneficine di Omero. Tuttavia siamo solo uomini, non siamo giganti né dèi, per questo abbiamo bisogno di una bellezza più accessibile, veicolata da un linguaggio naturale che si intenda senza fatica e che si possa tenere sul comodino. La letteratura appunto.

Pilar, Asmara e Penelope

Il romanzo letto prima di questo risale all’estate scorsa, o forse alla primavera, non ricordo: Piazza d’Italia, di Antonio Tabucchi. Un dono della stessa mano, che all’epoca leggevo per poterla accarezzare quella mano, con il pensiero. Nella odissea di gente comune, Tabucchi inserisce una Penelope di nome Asmara la quale, come Penelope, è una apologia femminile partorita dalla ingenua fantasia di scrittori maschi, un santino che ritroviamo nella principale figura femminile di Achille pié veloce: Pilar, avvenente immigrata senza permesso di soggiorno, che si paga gli studi all’accademia di belle arti lavorando in un centro commerciale e, solo sporadicamente e per necessità, come cubista in un girone dell’inferno notturno di Bologna. Benni, a differenza di Tabucchi, gioca a carte scoperte: il secondo nome di Pilar è proprio Penelope, e il suo Odisseo (che è una metà del protagonista chimerico del romanzo, come vedremo) si chiama nientemeno che Ulisse. Pilar: capelli scuri, figura atletica di cui vengono descritti dettagli anatomici in genere trascurati dalla letteratura, che danza nella neve boreale i ritmi del Sud America, simulacro onirico di femminilità e fedeltà, ma senza profondità psicologica: di lei non conosciamo i sogni, le debolezze, i peccati. E se la Penelope omerica dovrà aspettare Luigi Malerba per metterci a parte dei suoi pensieri, questa Pilar rimane senza voce. Con le sue disavventure da immigrata e da vittima del licenziamento di un demonizzato centro commerciale, Pilar costituisce il pretesto per un tributo a una ideologia che non appassiona il mio agnosticismo politico, e probabilmente neanche quello di Ulisse, quello omerico, piccolo aristocratico tagliagole; oltre a essere l’oggetto dell’amore tutto carnale di Ulisse e di battute porcine nei discorsi da bar fra gli altri personaggi.

¹ Non dico che non si debba dare un’occhiata a queste futilità, ma solo un’occhiata e un saluto dalla soglia, badando che non ci raggirino e ci facciano credere che in esse ci sia un grande bene nascosto. Lettera a Lucilio 49, paragrafo 6.

La terza parte è disponibile qui.

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6 thoughts on “Achille piè veloce, parte seconda

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