Parti precedenti: prima e seconda.
Le bugie di Ulisse
Ulisse Isolani, Lello per gli amici, è mezza vita del protagonista, come ho detto. Autore in gioventù di un romanzo di successo, Racconti grotteschi, aspetta di concludere il suo quarto decennio di esistenza lavorando per una piccola casa editrice di Bologna, la Forge, come lettore di manoscritti. Figlio affrancato di un fornaio, ha ricevuto in eredità lamarckiana una cronica inversione del ciclo sonno-veglia, per cui legge di notte e dorme sul tram o sulle panchine tra la sua abitazione e la sede della casa editrice; un ufficio che frequenta con il fine del tutto velleitario di reclamare il suo stipendio e anche con lo scopo molto più realistico di copulare con la segretaria, Circe – che non fa complimenti – nonostante Pilar sia l’amore corrisposto della sua vita. Ulisse lo conosciamo attraverso le fasi REM movimentate e piene di ironia che animano le sue giornate, in cui dialoga con gli autori dei manoscritti a lui sottoposti; e attraverso il linguaggio dell’intero romanzo, che non possiamo dubitare sia il suo. Sappiamo così che Lello formula continuamente ipotesi sulla realtà che sono alternative al senso comune: i centri commerciali all’orizzonte sono transatlantici nella nebbia, gli ombrelli pieghevoli sbocciano, le altalene di un parco sono tristi come patiboli, la gomma e la matita vivono una della morte dell’altra, i lampadari a goccia sono meduse di vetro, il camion dei pompieri balbetta lampi azzurri etc. Mentre dovremmo respingere queste descrizioni come false, ci rendiamo conto, appena averle lette, che sono più realistiche di uno scatto del telefonino: in estrema sintesi, con metafore spesso ellittiche, attingono al nostro immaginario per dire ciò che non è scritto, illuminando un intero affresco nelle pareti della mente. Ma siccome qui voglio parlare di me, e non di Stefano Benni, vi dirò che io stesso ho cercato, in questi anni inutili, combinazioni di parole dietro le quali tumulare il mio silenzio. Se scrivo che le nubi continuano come sempre la loro epica migrazione, lente ed enormi sopra ogni cosa, non ho risolto numericamente un modello matematico della dinamica atmosferica, ma ho svelato comunque una verità fisica del nostro pianeta, lasciandola in eredità ai posteri. Quando ho riconosciuto che la Terra è una macina grave che macina migliaia di vite a ogni giro non ho aggiunto nulla alla meccanica celeste di Poinsot, ma ho proposto una ipotesi che è difficile confutare, che è intuitivamente vera, da un certo punto di vista. Quando scrissi che i miei amati libri sono chiusi come le donne dei soldati che aspettano un crociato che non torna, vi ho raccontato la mia tragedia personale meglio di quanto potrebbero fare decine di trattati di medicina.
La parte quarta è disponibile qui.
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