Prefazione

Quella che segue è la prima parte di un racconto riversato sullo schermo in due giorni e mezzo dal sottoscritto, nella primavera del 2005. Vivevo fuori dal mondo ormai già da alcuni anni, ero scivolato su un dirupo metabolico, una anomalia di cui nessuno poteva sapere nulla all’epoca, e di cui io so ora molto più di ogni medico che mi visitò, pur non avendone che una conoscenza approssimativa, nella migliore delle ipotesi.

Non potendo più pensare lucidamente, fare calcoli, indagare la natura con la mina 0.5, la mia mente intraprese un viaggio impossibile, fino ai confini e oltre. Quello che segue è come un sogno, tessuto con i fili delle speranze frustrate, della aspirazione umana all’amore e di quella eroica alla verità assoluta. Il viaggio inzia davanti a un cielo stellato e finisce dentro il firmamento ingombro di astri.

Lev, il protagonista, è uno scienziato, ma in realtà di scientifico in questo racconto non c’è nulla: si tratta piuttosto di una favola, di un esempio ingenuo e a volte puerile di itinerarium mentis in deum, un genere narrativo con una tradizione lunghissima, che percorre la storia umana in una staffetta che va da Dante a Stephen Hawking, passando per Arthur C. Clark e Ridley Scott.

Il racconto è molto semplice: una storia lineare che segue Lev dalla adolescenza alla maturità. La povertà di interazioni umane rispecchia l’isolamento in cui ero immerso, quella solitudine in cui ogni incontro diventa un tesoro e ogni esistenza un viaggio. Eppure, tolte le comparse, restano due personaggi che però, sotto la superficie (e senza dover scavare molto), hanno la stessa identità, cioè la mia. Forse non è corretto: i due unici personaggi del racconto non coincidono con l’autore; essi sono, come spesso accade nella cattiva letteratura, la sua parte migliore. Lev, in particolare, è mio figlio e mio padre; è l’uomo che avrei voluto essere.

Il racconto, nella sua semplicità, lambisce tuttavia idee fondamentali della ricerca millenaria dei perché, come la sostenibilità della teoria deterministica di Laplace, il suo rapporto con la creazione umana a immagine e somiglianza di Dio; il ruolo dell’indeterminazione quantistica nella storia dell’universo e la sua influenza sul comportamento umano. Per me questo racconto fu uno strumento per chiarire le idee, per partorire la mia via all’agnosticismo razionale, una chiave di lettura del mondo che da quei due giorni e mezzo di 14 anni fa, mai mi ha abbandonato.

biogenesi
Figura 1. La premiazione (a sinistra) e l’illustrazione creata per questo racconto dagli organizzatori del concorso Apuliacon 2006 (R).

“Qualunque sia il valore dei miei libri, leggili con

la persuasione che in essi io cerco ancora la verità;

non l’ho trovata ma la cerco ostinatamente.”

Lucio Anneo Seneca

L’asteroide sfrecciò senza un sibilo verso l’emisfero in ombra della Terra. Le prime molecole della nostra atmosfera lo ferirono come proiettili. Aveva aspettato un’eternità per questo incontro, ma la sua luna di miele con il nostro sfolgorante pianeta fu effimera; fu come una lacrima, come una vita. Prese a bruciare e a sgretolarsi in gocce di fuoco. Fu una pennellata di luce, un microscopico bagliore sulla metà in ombra del volto della gemma del Sistema Solare.

Fu solo un attimo di gloria per quel frammento di roccia, il riscatto da una vita millenaria di solitario silenzio. Bruciò molto prima di raggiungere il suolo. Pagò con la sua esistenza il tributo allo splendente pianeta azzurro. Fu solo un attimo, ma bastò perché Lev potesse vedere il suo sacrificio. “Che bello” pensò. Ma non disse nulla, le cose belle non si dividono con gli altri.

Si trovava con suo fratello e un amico sul terrazzo della casa di campagna. La scuola sarebbe ricominciata solo un mese dopo.

«Vedo le luci del condotto fra l’astroporto e il laboratorio di biogenesi», diceva Pg, il fratello. Era tutto preso mentre stava incollato al suo telescopio, puntato verso la falce del nostro satellite.

«Lo  sapete che sono arrivati a ottenere una rudimentale sintesi proteica? Hanno giocato solo con quegli elementi  presenti nell’atmosfera della gioventù della Terra» disse David, il loro amico. Stava consultando il suo palmare che lo colorava di una tenue luce azzurrognola. Aveva davanti la mappa dell’insediamento lunare.

«Lo sanno tutti» disse Lev, in tono annoiato. Infatti quegli esperimenti sull’origine della vita nel nostro pianeta erano diventati un caso interplanetario. Le notizie sui progressi degli scienziati avevano raggiunto tutti gli angoli del Sistema Solare, uscendo di gran lunga fuori dagli elitari ambienti scientifici.

Perché tanto interesse della gente a questi esperimenti? Quando si trattava dei progressi sulla conoscenza della struttura della materia o della trasmissione dei campi di forza i media lanciavano, nell’indifferenza generale, dei succinti resoconti. Ma nel caso degli esperimenti di biogenesi i talk-show impazzavano. Il pubblico pendeva dalle labbra degli esperti. Stanley Miller era divenuto una celebrità e il suo esperimento del lontano 1953 era ormai patrimonio collettivo. La gente voleva sapere, si documentava.

Ma cosa voleva sapere? Lev notava un certo senso di inquietudine nella collettività, quando si faceva riferimento a questi esperimenti, e sapeva a cosa era dovuto. Gli esseri umani avevano paura di scoprire che l’umanità fosse figlia delle aride leggi della chimica; che la biofisica potesse spiegare le sue origini, quelle dei suoi sentimenti, dei suoi amori; che, infine, il suo stesso libero arbitrio non fosse poi tanto libero.

Certo anche Lev era turbato da questi esperimenti, fingeva però di non provare alcuno stupore all’idea di essere un sistema fisico esattamente come il pendolo, di cui aveva studiato la legge del moto in terza media, due anni prima. Fingeva di non essere toccato da questa idea. Ma non era così. Non finiva di chiedersi cosa siamo in realtà noi esseri umani, e quali principi debbano veramente guidare le nostre esistenze.

Ma si era in estate, il vento accarezzava i capelli e la musica che veniva dalla festa, in piazza, suggeriva riflessioni meno impegnative.

«Ecco le miniere» disse Pg, mentre invitava David al cannocchiale. I due erano tutti presi, sebbene avessero perlustrato il suolo lunare già numerose sere.

Lev afferrò il binocolo e ritornò alle sue osservazioni. Il suo soggetto era un po’ diverso da quello dei suoi due compagni: cercava un volto tra la folla in piazza. Trovò suo padre che sfoggiava il suo sorriso più accattivante, mentre sua madre lo stringeva a un braccio, cercando di portarselo verso la pista da ballo. Vide dei bambini che giocavano sotto la struttura del palco. Trovò un crocchio di amici che discutevano, sorseggiando una bevanda.

Tante luci. Facce allegre. Ma lei non c’era. L’aveva persa. No, eccola, la trova: sta ballando con un ragazzo. Lev lo conosceva, era solo un bullo. «Possibile che balli con quello?» disse piano fra i denti. Lei aveva un vestito chiaro, senza maniche, che avvolgeva il suo busto sottile per aprirsi poi, sotto la vita, in una ampia, ondeggiante corolla.

Ma il tremolio del binocolo disturbava l’osservazione di Lev, rendeva confuse le immagini, mentre lui voleva i particolari; voleva memorizzarli per creare una copia esatta di lei nella sua mente, per averla sempre con sé,  per guardarla e riguardarla a suo piacimento.  Allora si accostò al parapetto del terrazzo, vi aprì  sopra una mano e  posò su di essa il binocolo. Riprese l’osservazione. Ora andava meglio. Il ballo era finito e la ritrovò che parlava con delle amiche. Riusciva a vedere la sua ampia fronte, la riga da una parte, i capelli trattenuti dalle orecchie, i suoi grandi occhi scuri. “Lei parla, ride, scherza e io la guardo. Ha solo un vestito leggerissimo e pare non abbia freddo. Io invece sono infagottato e nonostante questo ho i brividi. Forse sono malato” pensava Lev.

«Credi che papà ci manderà sulla colonia lunare per la gita scolastica del prossimo anno?» chiese Pg a suo fratello, mentre consultava il palmare di David. Lev era distratto, tutto preso col suo binocolo, emozionato come quando si appostava, al parco naturalistico, per osservare gli uccelli.

Mentre era incollato agli oculari gli venne da pensare che la biogenesi avrebbe anche potuto dimostrare che quella ragazza fosse un sistema fisico governato da leggi matematiche, ma  per quanto lo riguardava lei andava benissimo anche così. Inoltre si era in estate, la scuola era lontana, il sorriso dei suoi genitori era più smagliante che mai, il mondo era un posto confortevole dove vivere e Lev aveva tutta la libertà di sognare. Dunque non era il caso di affaticarsi in riflessioni troppo serie.

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