In questo breve testo parlo delle differenze fra linguaggio matematico e linguaggio umano, con particolare riferimento alla poesia. Scritto intorno al 2011. L’immagine della sibilla delfica è una mia copia di una figura della Cappella Sistina. Olio su cartone, colore steso dalla mano inesperta di un adolescente. In seguito persi la capacità di dipingere, insime a tanto altro.
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Prima lezione con lui, quel giorno, tanti anni fa. Ci affrontò come un attore navigato, davanti alla platea dell’ennesima replica. Ci passò in rassegna di volata dalla prima all’ultima fila, come per verificare qualcosa; forse per assicurarsi che avessimo gli stessi volti degli studenti che si trovò di fronte quando tenne la sua prima lezione, decenni addietro. In fondo i ragazzi sono sempre gli stessi, da sempre, nonostante ciò che si dice quando ragazzi non si è più.
Si voltò e iniziò un antico rituale, lui e la lavagna; e quella frase che si componeva sotto il bussare del gesso sull’ardesia. Suono magico che ci ipnotizzò, inducendoci al silenzio, come lo schiocco della frusta del domatore. Scrisse:
IIBIS REDIBIS NON MORIERIS IN BELLO
Il latino era l’ultima cosa che ci si potesse aspettare in quella sede, ma in realtà la citazione era molto pertinente, e sarebbe stata illuminante. Attesi una spiegazione, ed ebbi un racconto.
Tanto tempo fa, cominciò il professore, ma potrebbe anche essere oggi, un giovane soldato si recò da una sibilla, una maga se volete, per sapere se sarebbe tornato vivo dalla guerra, all’affetto dei genitori e della sposa. La donna, che più che veggente era saggia, e furba certo, farfugliò qualcosa di oscuro gesticolando platealmente, rivolta a un punto indefinito; poi, quando ritenne di aver impressionato a sufficienza il giovanotto, emise questo vaticinio, disse il professore indicando la lavagna dietro di lui.
Fu furba, continuò, perché in latino la negazione può trovarsi sia prima del verbo, che dopo; per cui questa frase è ambigua, e può assumere due significati, uno favorevole:
andrai e ritornerai, non morirai in battaglia
E uno infausto:
andrai e non ritornerai, morirai in battaglia
Dipende da dove si mette la virgola, se prima o dopo la negazione. In ogni caso, dunque, il vaticinio si sarebbe avverato.
Ma la sibilla fu anche saggia: sapendo che il giovane avrebbe avuto qualche possibilità di tornare solo se avesse creduto in se stesso, e che lo avrebbe fatto se si fosse convinto di avere un destino propizio, volle dargli una speranza. Il futuro infatti, e la sibilla questo lo sapeva meglio di chiunque altro, è quello che ti fai, dipende solo da te, dalla forza e dalla speranza; il vostro destino, ragazzi, è scritto su un foglio che potete strappare, se non vi piace, disse il professore fissandoci. Ma sto divagando, aggiunse, non era di questo che volevo parlarvi. E riprese chiedendo quale fosse la morale della storia.
Il linguaggio umano, si rispose il professore (che credo stesse seguendo in realtà un copione con pause e divagazioni ben studiate), è ambiguo; questa è la sua natura, è nato così, non saprei dirvi perché. In fondo sarebbe potuto essere del tutto univoco, poiché la natura sa esserlo: pensate al materiale genetico che, fatti salvi eventuali errori, si duplica uguale a se stesso, trasmettendo un messaggio preciso, senza possibilità d’interpretazioni errate. Eppure il linguaggio umano è ambiguo, il significato che attribuite a ciò che vi sto dicendo dipende molto da voi, da quello che sapete, da come pensate.
E allora io vi chiedo uno sforzo, perché qui useremo un linguaggio che non ammette interpretazioni, che vede l’ambiguità come un flagello biblico: il linguaggio della matematica si è evoluto, in contrasto con la natura umana, perché potesse esistere una corrispondenza esatta, biunivoca, fra significante e significato, disse il professore osservandoci. Ma questo, continuò, non costituisce un limite alla creatività, non è una costrizione; è solo una necessità, un ostacolo da superare per accedere a strumenti molto potenti, concluse.
“Amen”, gli rispose una voce anonima, nel silenzio generale. Risate e indulgenza del professore, che era abituato allo spirito goliardico degli studenti e lo tollerava.
Sulla strada del ritorno rimuginavo, masticavo le parole, come una gomma americana. Sotto il cappuccio di un piumino troppo corto, guardavo per terra e pensavo:
Ibis redibis
non
morieris in bello
una virgola
è tutto la differenza
fra la vita e la morte
condanna o speranza
basta un segno
a cancellare i sogni
ma se il destino è in versi
ciascuno legge
il futuro che vuole.
Prospera la poesia
su questa ambiguità affastella
più significati su un significante
togliendo le virgole
ognuno le mette dove vuole
spezzando il discorso
il volo di una farfalla
che va da una parte
ma poi ci ripensa
traccia più direzioni
le lascia lì
e ognuno raccoglie
quella che vuole.
Oggi, molti anni dopo, mi è capitato di camminare per strada con un quaderno e una penna, fermandomi ogni tanto per appuntare un verso, il volo spezzato di una farfalla. E osservando i visi sorpresi dei passanti, che mi incrociavano ruotando la testa come la torretta di un cannone che segua un bersaglio mobile, annotavo sul quaderno:
Con le cravatte al collo
tanti guinzagli
ragionieri della vita
con ragionieri al posto del cuore
inseguono l’efficienza
dei calcolatori servi sciocchi
inventati da giovani brillanti
senza cravatta.
Rimuginavo, masticavo le parole, come una gomma americana. Sotto il cappuccio di un piumino guardavo per terra e pensavo.
Poi, alzando la testa, nel riflesso di un vetro, la vetrina di un negozio, mi è sembrato di vedere un ragazzo, sotto il cappuccio di un piumino troppo corto, mi osservava. È stato un attimo, solo un fotogramma. Mi sono immediatamente guardato intorno: niente. Allora mi sono avvicinato alla vetrina, e ho scrutato oltre, con un tuffo al cuore.
Ma niente. Solo lavatrici e frigoriferi e una famiglia tra le file di elettrodomestici. Nient’altro. Eppure era lì, sono sicuro, non mi sbaglio: era lui, ero io, quel giorno di cui vi ho parlato.
Quel giorno di tanti anni fa non è finito, perché se il punto non c’è, lo metterò soltanto quando deciderò di farlo