Quello che segue è il mio intervento durante il convegno nazionale sulla ME/CFS tenutosi a Thiene, tappa italiana dell’End ME/CFS Worldwide Tour. L’intervento è molto denso e veloce, ho dovuto condensare 4 anni di ricerche in 30 minuti. Qualcuno ha notato che sembravo dopato. Lo ero, letteralmente: ero alla fine di un lungo trattamento cortisonico e avevo assunto modafinil per la circostanza. Altrimenti non sarei riuscito. Le slide usate per questo intervento, insieme ad altre che non ho avuto modo di far vedere al convegno, sono disponibili qui. Sotto il video c’è un sommario del contenuto dell’intervento, e il momento del video in cui i vari argomenti sono stati trattati. Ringrazio Giuseppe Pozza per aver realizzato il video.
Note biografiche, criteri diagnostici e disturbi cognitivi (00:50)
Intolleranza ortostatica (08:39)
Citochine (09:45)
Citotossicità delle NK (11:15)
Disfunzioni metaboliche (12:40)
Anomalie del sistema nervoso centrale (20:50)
Anomalie del microbioma (22:40)
Analisi genetica (24:20)
La mia ricerca su Lyme e autoanticorpi (27:50)
Anticorpi anti-muscarinici e anti-beta adrenergici nella M/CFS (32:20)
Studi a cui ho partecipato come paziente, conclusioni e ringraziamenti (34:53)
Riascoltando il mio intervento ho provato stupore nel constare, forse per la prima volta, come la mia mente sia sopravvissuta. Solo io posso sapere cosa ho passato, nessuno sa che per gli ultimi 17 anni sono stato incapace di pensare per più del 90% del tempo. E non intendo incapace di risolvere sistemi di equazioni differenziali; no, intendo incapace di sostenere una conversazione o di leggere un libro.
Nonostante sia stata così colpita dalla malattia, nonostante sia stata privata di stimoli, nostante la solitudine estrema, i farmaci inutili e il consumarsi dei lustri, è sopravvissuta. Questo organo di un chilo e mezzo scarso che mi contiene tutto, che ha perso così tanto, che ho dato per spacciato tante volte, è sopravvissuto. La vita vuole vivere e non si arrende.
Il tratto gastrointestinale umano ospita da 1 a 100 miliardi di batteri appartenenti a più di mille specie diverse. Se consideriamo questo ecosistema simbionte, che nel complesso prende il nome di microbiota intestinale, come un organo del corpo, allora dobbiamo ammettere che esso rappresenta il nostro più grande organo. Infatti solo il colon (vedi figura 1) ospita un numero di batteri pari a circa 9 volte il numero totale di cellule che costituiscono un essere umano (Egert M et al. 2006). Se si considera inoltre che ciascun batterio intestinale ospita uno o più virus (Minot S et al 2011), si realizza come possa essere complesso e ricco, in termini di informazione genetica e di trascrizione proteica, il nostro ventre. Poiché alla nascita il tubo digerente è sterile, questo voluminoso organo viene costruito e poi modificato a partire dalla prima poppata del neonato (Morelli L 2008). Si tratta pertanto di un organo che acquisiamo e modifichiamo nel corso della nostra vita e che non dipende immediatamente dal patrimonio genetico. I batteri dell’intestino svolgono svariate funzioni, come la digestione di molecole non altrimenti assimilabili, la produzione di vitamina K, la protezione dalla proliferazione di agenti patogeni (Borody TJ et al. 2012), la regolazione del sistema immunitario intestinale e sistemico, la regolazione di disfunzioni comportamentali, come ansia e depressione (Frémont M et al. 2013).
Figura 1. Il tratto digerente umano, con in evidenza il colon. Da WebMD.
Sei regni, due domini e un matrimonio
Per quello che segue, è utile ripassare velocemente la gerarchia dei gruppi in cui vengono classificati tutti gli esseri viventi, in base al loro legame evolutivo. La prima classificazione vede la distinzione in due grandi domini, quello delle cellule con nucleo (Eukarya), a cui apparteniamo noi stessi, e quello delle cellule senza nucleo (Monera, distinti da alcuni in Archea e Bacteria) a cui appartengono, tra gli altri, i batteri che popolano il nostro intestino (figura 2). In figura 3, la classificazione della nostra specie. E’ interessante notare che nel nostro intestino si assiste a una ricongiunzione (un matrimonio) fra due domini (Eukarya e Monera) separati da più di 2 miliardi di anni di evoluzione.
Figura 2. I tre domini, da alcuni ridotti a due, con la unione di Archea e di Bacteria in Monera. Archea e Bacteria sono costituiti da organismi unicellulari sprovvisti di nucleo, e a queste categorie appartiene il microbiota intestinale. Il dominio Eukaryota (o Eukarya) comprende organismi uni e pluricellulari, nelle cui cellule si riconosce un nucleo separato da una sua membrana. Noi siamo Eukarya. Da questa pagina, con modifiche.Figura 2. Gli esseri umani (Homo sapiens) appartengono alla famiglia degli Hominidae (in passato molto numerosa, oggi costituita da sole 7 specie), inclusa nel Phylum dei Chordata (che comprende tutti gli altri mammiferi, insieme ai rettili, agli anfibi, agli uccelli e ai pesci), a sua volta contenuto nel regno Animalia, uno dei 6 regni insieme a Plantae, Fungi, Protista, Archea, Bacteria. Se escludiamo Archea e Bacteria (da alcuni riuniti in un unico regno, detto Monera), gli altri regni rappresentano organismi uni o pluri cellulari costituiti da cellule con nucleo (eucariote) e formano il grande dominio Eukarya. Da questa pagina.
Neuroscienze enteriche
In questi anni lo studio della interazione fra il cervello e l’intestino ha posto le fondamenta di una nuova disciplina, a cui ci si riferisce con il nome di Neuroscienze enteriche. Si ritiene che il ‘collquio’ tra la flora intestinale e il cervello avvenga attraverso il sistema immunitario (Sankowski R et al. 2015), per mezzo delle fibre nervose del nervo vago (Goehler LE et al. 2007), o grazie a sostanze sintetizzate dalla flora intestinale (Kowlgi NG et Chhabra L, 2015).
Intestino e comportamento. Ad esempio, è stato possibile dimostrare che la somministrazione di Lactobacillus casei (ceppo Shirota) migliora l’umore in soggetti con sintomi depressivi (Benton D et al. 2007), e riduce i sintomi ansiosi (ma non quelli depressivi) in persone con diagnosi di ME/CFS (Rao AV et al. 2009). La somministrazione di Bifidobacterium infantis invece ha dimostrato, nei topi, di poter aumentare il livello di triptofano nel plasma e di modulare i metaboliti della serotonina nella corteccia frontale e della dopamina nella amigdala (Desbonnet L et al 2008).
Intestino e funzioni cognitive. In caso di insulti al piccolo intestino (cioé il tratto compreso tra lo stomaco e il colon) è stata riportata uno stato di mal assorbimento dei carboidrati che raggiungono così il colon, non digeriti. In questo scenario lo smaltimento di queste molecole in una sede non naturale porta a un incremento di acidi organici, tra cui acido lattico e acidi grassi a catena corta, che abbassano il pH del colon. L’aumento di acidità porta a sua volta a una proliferazione di quei batteri responsabili proprio della sintesi acido lattico (gli enantiomeri L e D), principalmente Lactobacillus fermentum e L. acidophilus. Poiché il principale enzima in grado di metabolizzare il D-lattato (D-2-HDH) è inibito in ambiente acido, si ha un accumulo di D-lattato, che si riversa nel sangue e causa sintomi cognitivi, come perdita di coordinazione motoria e confusione mentale, fino al delirio (Kowlgi NG et Chhabra L, 2015). Anche la sovracrescita dei Bifidobacterium è stata associata a produzione anomala di acido lattico (Kaneko T et al 1997).
Lactobacilli canadesi. Un gruppo canadese (University of Toronto) ha sottoposto un campione di 35 pazienti ME/CFS (criteri canadesi) a un trial in doppio cieco, per verificare l’effetto terapeutico di 8 settiane di trattamento con Lactobacillus casei(famiglia delle Lactobacillaceae). In particolare, la terapia è consistita nell’assunzione per bocca di 8 miliardi di CFU (colony forming units) dopo ciascuno dei tre pasti principali, e di altrettante capsule vuote nel gruppo placebo. Lo studio prevedeva anche la misura di Bifidobacterium e Lactobacillus nelle feci dei soggetti, prima e dopo l’intervento. Complessivamente è stato registrato un aumento di entrambi i generi batterici nel gruppo trattato (vedi figura 4). L’aumento di Bifidobacterium è inaspettato, i quanto non era somministrato nella terapia, ed evidentemente deve essere un effetto della assunzione di Lactobacillus. Dal punto di vista clinico, gli autori si sono concentrati sulla misura di ansia e depressione prima e dopo il trattamento, e hanno rilevato un miglioramento dell’aspetto ansioso, ma non dei sintomi depressivi (Rao AV et al. 2009).
Figura 4. A seguito del trattamento con 24 miliardi di CFU di Lactobacillus casei si osserva un aumento sia del genere Lactobacillus che, inaspettatamente, del genere Bifidobacteria. Da (Rao AV et al. 2009).
L’interesse principale di questo studio consiste nell’aumento di Bifidobacterium indotto da somministrazione di Lactobacillus. Infatti, sebbene Lactobacillus non risulti carente nei pazienti del campione norvegese, Bifidobacterium risulta in difetto nello studio della Cornell University, oltre che in entrambi i pazienti portati come esempio. Sfortunatamente nello studio non è prevista la misurazione dei sintomi specifici della ME/CFS, quindi non sappiamo che impatto abbia il trattamento sulla patologia. L’ansia è un sintomo secondario, non fa parte dei criteri diagnostici e sicuramente non è presente in tutti i pazienti.
Remissioni? Nel 2012 Borody TJ e colleghi del Center for Digestive Diseases (CDD) (Australia) hanno riportato di uno studio su 60 pazienti ME/CFS (criteri Fukuda) trattati con batterioterapia. Gli autori hanno somministrato per infusione transcolonscopica una miscela di 13 batteri intestinali non patogeni, appartenenti al genere dei Bacteroides, alla Classe dei Clostridia (che include i Clostridiales e in particolare le Clostridiacee) e alla specie Escherichia coli (famiglia Enterobacteriacae, nel Phylum Proteobacteria). Dei 60 pazienti, 35 hanno avuto una risposta positiva. Dei restanti 25, dieci si sono sottoposti a un secondo ciclo di terapia; di questi, 7 hanno avuto beneficio. Complessivamente dunque 70% dei pazienti ha avuto un beneficio, mantenuto a 15-20 anni di distanza dalla terapia, nel 58% dei casi riesaminati (Borody TJ et al. 2012). Difficile commentare questi risultati, che lasciano increduli nel momento in cui si considera che i responsivi al trattamento avrebbero avuto una remissione, secondo gli autori. Inoltre manca un gruppo di controllo. Senza contare che tra i Bacteroides e le Clostridiacee (usati nelle infusioni) lo studio sui pazienti norvegesi (figura 6) ha riportato un eccesso, rendendo meno probabile (ma non impossibile) un effetto terapeutico di questi organismi nella ME/CFS.
Attenzione al D-lattato! Abbiamo visto come un problema di assorbimento nel piccolo intestino possa determinare un aumento di D-lattato nel sangue, con conseguenti deficit cognitivi. L’aumento dell’acido lattico è associato alla sovra cescita di Lactobacillus (Kowlgi NG et Chhabra L, 2015) e di Bifidbacterium (Kaneko T et al 1997). Nel 2009 De Meirleir e colleghi osservarono che anche i generi Enterococcus e Streptococcus possono essere potenzialmente implicati nella sintesi di D-lattato. Nella ME/CFS gli Autori furono in grado di dimostrare un eccesso di questi due generi nel microbiota dei pazienti, rispetto ai soggetti sani, e proposero l’ipotesi che i deficit cognitivi della ME/CFS possano essere dovuti almeno in parte a un eccesso di lattato nel sangue. Per suffragare ulteriormente questa ipotesi osservarono che i pazienti ME/CFS presentano notevoli similitudini con coloro che hanno alti livelli di D-lattato nel sangue (letargia, distubi cognitivi, fatica) (Sheedy, JR et al 2009). In effetti i soggetti due e tre (figura 6) manifestano entrambi un eccesso di D-lattato nel sangue (dati non mostrati), associato a una anomala proliferazione di Streptococcus, ma non di Enterococcus, Lactobacillus, Bifidbacterium.
Probiotici svedesi. Nel 2009, 15 pazienti ME/CFS (criteri Fukuda) furono selezionati in Svezia per un trattamento sperimentale con Lactobacillus e Bifidobacterium. Il trattamento aveva una durata di 30 giorni e i pazienti venivano valutati due settimane prima dell’inizio, alla fine del trattamento, e un mese dopo la fine. Si somministrava una miscela di Lactobacillus paracasei F19, L. acidophilus NCFB 1748 e Bifidobacterium lactis Bb12 per un totale di 1 miliardo di CFU, due volte al giorno. Lo studio riportò un miglioramento nel funzionamento neurocognitivo nell’ultima osservazione, mentre nessun miglioramento fu riportato nella fatica e nella disabilità fisica (Sullivan, A et al. 2009). Si tenga conto che questo esperimento non ha previsto un gruppo placebo e si è basato su soli 15 soggetti.
Figura 5. In blu i generi in eccesso nella ME/CFS rispetto al controllo sano, in arancio i generi in difetto (Giloteux L et al. 2016).
Disbiosi. Il primo studio sul collegamento fra disbiosi e ME/CFS fu un lavoro puramente speculativo apparso nel 2003 su Medical Hypotheses, in cui si presentava l’ipotesi che una riduzione inBifidobacteriumassociata a una sovracrescita di batteri del piccolo intestino potessero produrre una disfunzione immunitaria in grado di generare i sintomi della ME/CFS (Logan AC et al. 2003). Nel 2009 De Meirleir partecipò a uno studio che dimostrò un eccesso di Enterococcus e Streptococcus e ipotizzò che una sintesi accresciuta di D-lattato da parte di questi batteri potesse causare aumentata permebilità delle pareti intestinali e i sintomi cognitivi associati a un incremento di D-lattato (sostanza tossica per il cervello). Inoltre, come abbiamo visto, la somministrazione di Lactobacillus e Bifidobacterium sembra migliorare le performance cognitive, ma non la disabilità fisica (Sullivan, A et al. 2009). In passato gli studi sulla flora intestinale erano limitati dal fatto che solo i batteri coltivabili potevano essere censiti; in seguito l’utilizzo di tecniche innovative di sequanziamento genetico di specifici geni (come il gene per l’RNA ribosomiale 16S) hanno permesso di avere una visione completa (o quasi) del microbiota, in condizioni di salute e malattia. Grazie a questa nuova tecnica, sempre De Meirleir eseguì il primo censimento della flora batterica intestinale in un gruppo norvegese di pazienti ME/CFS, che confrontò con una popolazione sana. L’analisi statistica rilevò un incremento dei generi Lactonifactor, Alistipes e una riduzione dei generi Holdemania, Syntrophococcus, Dialister e Roseburia (vedi figura 6), in un contesto di alta variabilità fra paziente e paziente (Frémont M et al. 2013). Il genere Roseburiacontribuisce alla salute dell’epitelio del colon, alla produzione di energia, e alla protezione contro l’infiammazione dell’intestino. Queste funzioni sarebbero mediate dalla sintesi di butirrato (Louis P et Flynt HJ, 2009). Una riduzione di Dialister invisusè stata riportata nella malattia di Crohn (Joossens, M et al. 2011), quindi si potrebbe forse associare la complessiva riduzione del genere Dialister a patologie intestinali. L’aumento di Alistipes è stato riscontrato anche in persone affette da sindrome dell’intestino irritabile (IBS) con associato dolore addominale (Saulnier, DM et al. 2011). Poiché il genere Lactonifactor è coinvolto nella conversione di fitoestrogeni nelle forme attive (enterodiolo e enterolactone), è stato proposto che il riscontro di un aumento di questo genere nella ME/CFS possa portare a disordini nel percorso metabolico degli estrogeni e della vitamina D (infatti il recettore della vitamina D sembra interagire con i fitoestrogeni) (Frémont M et al. 2013). Complessivamente dunque le alterazioni riscontrate nel campione norvegese di pazienti ME/CFS sembrano compatibili con un aumento della infiammazione intestinale. Nel 2016 un gruppo della Cornell University ha ripetuto una scansione del microbiota basata, come quella del 2013, sull’analisi del gene per l’RNA ribosomiale 16S. Al livello di Phyla si rilevano una ridotta abbondanza di Firmicutes (35% contro il 46%) e un aumento dei Protobacteria (8% contro il 3.6%). Le differenze a livello di genere sono riportate in figura 5 e figura 6 (Giloteaux L et al. 2016). Si può vedere dalla figura 6 che non esistono concordanze tra il lavoro di Giloteux e quello di Frémont a livello di genere, se non per il Ruminococcus, carente in entrambi i casi. Nello studio più recente, ma non in quello del 2013, è stata msurata una riduzione di Faecalibacterium, un genere che -come il Roseburia– produce butirrato e quindi presenta proprietà anti-infiammatorie e protettive per l’intestino (Sartor RB et al. 2010). Sempre nel medesimo studio è stato possibile evidenziare una riduzione del genere Bifidobacterium, genere già dimostratosi di qualche beneficio come trattamento della ME/CFS (Sullivan, A et al. 2009). Complessivamente lo studio della Cornell University ha rilevato -per la prima volta- una ridotta biodiversità nel microbiota intestinale dei pazienti ME/CFS e una alterazione delle percentuali relative a livello di Phyla, di famiglie, e di generi (Giloteaux L et al. 2016).
Figura 6. Studio del microbiota in un campione ME/CFS statunitense (Giloteux L et al. 2016) e in un campione norvegese (Férmont M et al. 2013), a confronto con i dati di due pazienti.
Traslocazione. Alterazioni immunitarie possono essere determinate dalla fuoriuscita (traslocazione) del microbiota dall’intestino, come è stato dimostrato nel caso della infezione da HIV (Vyboh K et al. 2015). Nella ME/CFS questo tipo di fenomeno è stato misurato per la prima volta da Maes e colleghi, i quali riportarono una insolita concentrazione sierica di IgA e IgM contro i lipopolisaccaridi (LPS) di alcuni batteri del microbiota intestinale (Pseudomonas aeruginosa, P. putida, Citobacter koseri, Klebisiella pneumoniae). La presenza di questa risposta delle cellule B non è altrettanto frequente nella popolazione sana e dimostra che il sistema immunitario dei pazienti ME/CFS entra regolarmente in contatto con batteri intestinali, la qual cosa è una prova di una traslocazione eccessiva (Maes M et al. 2012). Nove anni dopo un gruppo della Cornell University cercò una conferma della traslocazione del microbiota nella ME/CFS misurando, fra le altre cose, il livello di LPS e di CD14 solubile (sCD14) nel siero dei pazienti. Gli LPS sono essenzialmente di origine enterica, e il sCD14 è una sostanza prodotta di macrofagi come risposta agli LPS. Ebbene, questo gruppo ha dimostrato un incremento significativo di questi due parametri nei pazienti rispetto ai controlli sani (vedi figura 7), e ciò prova una eccessiva traslocazione (Giloteaux L et al. 2016).
Figura 7. Il livello di LPS e di CD14 solubile nei pazienti ME/CFS è significativamente più alto che nei controlli sani, ad indicare una aumentata traslcazione della flra intestinale (Giloteux L et al. 2016).
Traslocazione e PEM. Ridotta permebilità intestinale e traslocazione batterica non sono prerogativa della ME/CFS, infatti sono state osservate anche in disturbi epatici (Zhu, et al., 2013), nella infezione da HIV (Openshaw, 2009), e nella malattia di Crohn (Wyatt, et al., 1993). Questo rende difficile pensare che possa essere la causa dei sintomi più specifici della ME/CFS, come la post-exertional malaise (PEM). Eppure, nel 2015, fu possibile osservare per la prima volta un insolito aumento di batteri intestinali (Firmicutes) nel sangue periferico di pazienti ME/CFS, dopo esercizio. In figura 8 si può osservare come questo aumento sia spiccato, rispetto al controllo sano, dopo 48 ore dallo sforzo (pedalata con resistenza progressiva, fino all’erogazione di 25 Watt). Questa sorprendente osservazione ha indotto gli autori a ipotizzare che il riversamento di questo insolito numero di batteri intestinali nel sangue possa essere l’origine della crisi psico-fisica post-esercizio, che i pazienti chiamano crash, e che tecnicamente viene indicato con la sigla PEM (Sanjay KS et al. 2015). Questo risultato è di grande interesse e sicuramente merita ulteriori approfondimenti.
Figura 8. Aumento dei batteri intestinali del Phylum Firmicutes a 48 ore da una prova da sforzo, nel sangue periferico (Shukla, SK et al. 2015).
Causa o effetto? E’ lecito chiedersi se la disbiosi sia un semplice fattore predisponente o aggravante della ME/CFS, se ne è addirittura la causa, o ancora se non è che una conseguenza di una sorgente più profonda del male, a cui non abbiamo ancora attinto. A tal proposito, Giloteaux e colleghi hanno proposto che la disbiosi intestinale possa fornire un contributo alla genesi di alcuni sintomi della ME/CFS (Giloteaux L et al. 2016), facendo però osservare che queste alterazioni non sono prerogativa della ME/CFS. De Meirleir e colleghi, hanno avanzato l’ipotesi che il frequente riscontro di infezioni intestinali nei pazienti ME/CFS -tanto da enterovirus (Chia JK et al. 2008) che da Parvovirus B19 (Frémont M et al. 2009)- possa generare una depressione della immunità specifica della mucosa, con una conseguente alterazione della flora intestinale (Frémont M et al. 2013). Recentemente, sempre De Meirleir, sembra aver definito meglio la sua ipotesi sull’effetto del sistema immunitario sulla composizione della flora intestinale, postulando che la ridotta attività delle cellule dendritiche della parete intestinale (cellule dendritiche plasmocitoidi, pDC) rilevata nei pazienti ME/CFS, sia la causa di una difettosa attivazione delle cellule B, cosa che causerebbe a sua volta una ridotta sintesi locale di IgA. Queste IgA tappezzano la parete intestinale dove regolano il microbiota, quindi una loro carenza potrebbe giustificare tanto lo sviluppo di disbiosi, che l’aumento della permeabilità dell’intestino (Lombardi VC et al. 2016). Come abbiamo visto sopra, la traslocazione del microbiota intestinale, sembra eccezionalmente accentuata dopo esercizio, e questo potrebbe avere un legame con il cash post-sforzo tipico della ME/CFS (Shukla, SK et al. 2015).
Un test per la ME/CFS. Utilizzando una combinazione di dati che includono la composizione della flora intestinale e la presenza di marcatori infiammatori, è stato proposto un test diagnostico per la ME/CFS con una sensibilità dell’81.7% e una specificità dell’85.5% (vedi figura 8) (Giloteaux L et al. 2016).
Figura 8. Un test basato sulla combinazione di dati relativi alla composizione del microbiota e marcatori infiammatori riconosce la ME/CFS nell’81,7% dei casi.
Interventi alimentari. La ‘dieta occidentale’, con elevato contenuto di zuccheri e grassi, sembra favorire la crescita del Phylum dei Firmicutes e, in particolare, dei generi Clostridium, Eubacterium, Enterococcus; mentre appare nociva per lo sviluppo del Phylum Bacteroides. Il consumo di zuccheri raffinati media la crescita di specie opportunistiche quali Clostridium difficile e Clostridium perfringens, mentre i carboidrati complessi sembrano favorire il genere Bifidobacterium(Brown K et al. 2012). Se ne deduce banalmente che una preferenza per i carboidrati complessi a svantaggio degli zuccheri semplici, può migliorare la flora intestinale. E’ stato ipotizzato che una dieta ricca di polisaccaridi vegetali possa arricchire la flora intestinale di batteri appartenenti al Phylum Bacteroides, che è predominante in popolazioni africane che consumano questo tipo di alimenti (De Filippo et al. 2010). Una deficienza in vitamina D è stata associata ad anormalità nella flora intestinale (Mai V et al. 2009). In base alla ipotesi, sopra menzionata, di un difetto nella sintesi locale di IgA come causa di disbiosi e permeabilità intestinale, si potrebbe supporre un qualche ruolo terapeutico del colostro, composto per buona percentuale da IgA. Tuttavia questa ipotesi è tutta da dimostrare.
Paziente 1
Disbosi. L’eccesso del genere Lactinofactor potrebbe essere associato a una disregolazione del segnale legato ai recettori degli estrogeni e al recettore della vitamina D (Frémont M et al. 2013). L’eccesso del genere Eubacterium potrebbe essere corretto con una dieta più povera di grassi e di zuccheri (Brown K et al. 2012). L’eccesso del genere Streptococcus (5.8 con un riferimento di <5.0) può essere in parte responsabile dell’aumento del D-lattato in questo paziente (3.23 con riferimento di <1.66) (Sheedy, JR et al 2009). Il difetto severo di Bifidobacterium (0.06 con un riferimento di >5) potrebbe in parte spiegare le difficoltà cognitive di questo paziente e il basso livello di triptofano plasmatico (Desbonnet L et al 2008) ed essere un target per una integrazione mirata con probiotici dello stesso genere (Sullivan, A et al. 2009). Poiché il genere Lactobacillus si trova nella parte bassa della norma (0.09 con un riferimento di <1) è possibile altresì un intervento terapeutico con questo genere, che indirettamente aumenta il Bifidobacterium (Rao AV et al. 2009). Inoltre l’utilizzo di zuccheri complessi al posto di zuccheri semplici potrebbe ulteriormente favorire il Bifidobacterium a discapito dell’Eubacterium (Brown K et al. 2012).
Traslocazione. Questo paziente presenta titoli di IgA molto alti per LPS di specie enteriche, quali Pseudomonas aeruginosa, e meno elevati, per Citobacter koseri, Klebisiella pneumonia, Psudomonas putida. Questo suggerisce un livello significativo di traslocazione della flora intestinale attraverso le pareti dell’intestino stesso (Maes M et al. 2007). Tuttavia questa possibilità non sembra confermata dal livello di CD14 solubile, che è nella norma (Giloteaux L et al. 2016).
Terapia. Bifidobacterium (2 mld/die), Lactobacillus, dieta povera di grassi e zuccheri semplici. Colostro. Vitamina D.
Paziente 2
Disbosi. Il difetto del genere Roseburia (quasi assente) può contribuire alla permeabilità intestinale e alla infiammazione dell’intestino (Louis P et Flynt HJ, 2009). In questo caso potrebbe essere valutata una integrazione con butirrato, sostanza benefica prodotta da Roseburia. L’eccesso del genere Eubacterium potrebbe essere corretto con una dieta più povera di grassi e di zuccheri (Brown K et al. 2012). L’eccesso marcato del genere Streptococcus (16.23 con un riferimento di <5.0) può essere in parte responsabile dell’aumento del D-lattato in questo paziente (3.4 con riferimento di <1.66) (Sheedy, JR et al 2009). Il difetto di Dialister potrebbe essere legato a una cattiva salute dell’intestino (causa o effetto?) infatti è una prerogativa della malattia di Crohn (Joossens, M et al. 2011). Il difetto severo di Bifidobacterium (0.17 con un riferimento di >5) potrebbe in parte spiegare le difficoltà cognitive di questo paziente e il basso livello di triptofano plasmatico (Desbonnet L et al 2008) ed essere un target per una integrazione mirata con probiotici dello stesso genere (Sullivan, A et al. 2009). Poiché il genere Lactobacillus si trova nella parte alta della norma (0.64 con un riferimento di <1) è auspicable una certa moderazione nel consumo di probiotici contenenti questo genere (di solito associati a Bifidobacterium, nei prodotti che si trovano in commercio), infatti i Lactobacillus contribuiscono all’aumento del D-lattato sierico (Kaneko T et al 1997), che in questo soggetto è già elevato. L’utilizzo di zuccheri complessi al posto di zuccheri semplici potrebbe ulteriormente favorire il Bifidobacterium a discapito dell’Eubacterium (Brown K et al. 2012).
Traslocazione. Questo paziente presenta titoli di IgA e IgM per LPS di Pseudomonas aeruginosa, e per nessuna altra specie enterica. E’ dubbio se questo riscontro sia attribuibile a una aumentata traslocazione della flora batterica (Maes M et al. 2007). Inoltre il livello di CD14 solubile è molto baso e questi indizi tendono a far escludere l’ipotesi di traslocazione del microbiota (Giloteaux L et al. 2016).
Terapia. Bifidobacterium (2 mld/die), evitare o moderare Lactobacillus, dieta povera di grassi e zuccheri semplici. Valutare integrazione di butirrato. Colostro. Vitamina D.
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