Mitocondri giapponesi e le due ME/CFS

Mitocondri giapponesi e le due ME/CFS

Pazienti, campioni e strumentazione

In un recentissimo studio giapponese (Yamano E, et al. 2016) 67 adulti con diagnosi di ME/CFS (criteri Fukuda) e 66 controlli sani sono stati sottoposti a un dettagliato esame metabolico. Il loro sangue periferico è stato analizzato attraverso un particolare tipo di spettroscopia di massa (capillar electrophoresis timo-of-flight mass spectrometry, CE-TOFMS) in grado di individuare 144 metaboliti distinti nel medesimo campione. Tra queste molecole ne sono state individuate in particolare 31, relative alla glicolisi, al ciclo di Krebs (o ciclo dell’acido tricarbossilico, TCA), e al ciclo dell’urea (vedi figura 1).

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Figura 1. Livelli di alcuni metaboliti della glicolisi, del ciclo di Krebs e del ciclo dell’urea nei pazienti ME/CFS e nel controllo sano (Yamano E. et al. 2016).

Glicolisi

Ricordo che la glicolisi avviene nel citoplasma (fuori dai mitocondri) e permette di ricavare due molecole di ATP da ogni molecola di glucosio. Lo scarto della glicolisi consiste in due molecole di piruvato, per ciascuna molecola di glucosio processata. I ricercatori giapponesi hanno rilevato come unica anomalia di questa parte iniziale del metabolismo energetico, un aumento del suo prodotto finale, ovvero del piruvato (vedi figura 1). Ciò nonostante, il glucosio e il lattato vengono mantenuti in parametri normali, probabilmente grazie a una serie di sistemi di compensansione.

Ciclo di Krebs

Ricordo che il piruvato è il carburante che alimenta la seconda fase del metabolismo energetico, che si verifica all’interno dei mitocondri. In questa seconda fase, il piruvato è convertito in Acetil-CoA (con la sintesi di 3 molecole di ATP per ciascun piruvato), e l’Acetil-CoA è poi inviato al ciclo di Krebs (o ciclo dell’acido citrico), dove sono prodotte altre 12 molecole di ATP per ogni molecola di Acetil-CoA. Più precisamente, il ciclo di Krebs produce una molecola di ATP, tre di NADH e una di FADH2; queste due ultime molecole vengono inviate alla fosforilazione ossidativa (membrana dei mitocondri) dove sono utilizzate per sintetizzare complessivamente 11 molecole di ATP. I ricercatori giapponesi hanno rilevato una complessiva riduzione dei metaboliti del ciclo di Krebs, ma in particolare la depressione riguarda la parte iniziale, ovvero il citrato e l’isocitrato.

Il ciclo dell’urea

Ricordo che il ciclo dell’urea si occupa di smaltire i rifiuti del metabolismo degli amminoacidi, producendo urea a partire da ammoniaca (NH3). Nello studio giapponese è stato riscontrato un aumento di ornitina, e una sensibile riduzione di citrullina.

Un test metabolico per la CFS

In base a quanto sopra, gli Autori dello studio hanno concluso che i cinque metaboliti ornitina, citrullina, piruvato, lattato, e isocitrato sono quelli che con maggiore evidenza possono rappresentare il difetto metabolico dei pazienti ME/CFS. In particolare i ricercatori hanno riscontrato come la combinazione di valori alti per i due rapporti ornitina/citrullina e piruvato/isocitrato  fornisca un test per discriminare i pazienti ME/CFS dal controlo sano (vedi figura 2).

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Figura 2. Il rapporto piruvato/isocitrato (glicolisi e ciclo di Krebs) e il rapporto ornitina/citrullina (ciclo dell’urea) discriminano tra ME/CFS e controllo sano (Yamano E. et al 2016).

Dove sta il problema?

Secondo Yamano e colleghi, l’analisi di questi dati suggerisce un qualche difetto nei passaggi che vanno dal piruvato all’isocitrato. Ovvero il blocco metabolico si estende tra l’ingresso del piruvato nei mitocondri e la parte iniziale del ciclo di Krebs. I ricercatori affermano espressamente che:

la ridotta concentrazione dei metaboliti della fase iniziale del ciclo di Krebs verosimilmente rappresenta il processo patologico alla base della fatica.

Giappone vs Italia

Uno studio europeo che ha indagato l’espressione di due enzimi mitocondriali nella saliva di pazienti ME/CFS reclutati dall’Ospedale santa Chiara di Pisa, ha riportato recentemente una alta espressione di due enzimi chiave del metabolismo mitocondriale, ovvero la subunità beta della ATP sintetasi (ATPB, complesso V in figura 3) e l’aconitasi mitocondriale (ACON) (Ciregia F et al 2016). Una mia sintesi di questo studio è disponibile qui. Quello che ci interessa in questa sede è rilevare una certa coerenza fra lo studio europeo e quello giapponese, infatti se ammettiamo che il ciclo di Krebs è bloccato nella sua fase iniziale, possiamo immaginare che il sistema cercherà di compensare aumentando l’espressione di alcuni o tutti gli enzimi a valle del blocco, al fine di estrarre ogni possibile risorsa dal substrato disponibile. Ora si dà il caso che ACON è proprio l’enzima che catalizza la reazione da citrato a isocitrato. Mentre ATPB fa parte del complesso enzimatico con cui culmina la catena respiratoria, con sintesi di ATP da ADP. Si ravvisa dunque un possibile accordo fra i due studi, e questo è un ottimo segno.

Giappone vs Australia

Nel 2015 uno studio australiano sul metabolismo della ME/CFS (Armstrong CW et al. 2015) ha rilevato dati per molti aspetti opposti rispetto a quelli riportati da Yamano e colleghi. Infatti gli australiani hanno dedotto l’esistenza di un blocco della glicolisi (a monte del piruvato) dalla ridotta abbondanza di piruvato e lattato (esattamente il contrario di quanto riportato dai giapponesi) e hanno riscontrato l’uso di amminoacidi come fonte alternativa di carburante nel ciclo di Krebs. Da notare anche che per gli australiani il rapporto ornitina/citrullina è ridotto nella ME/CFS rispetto ai controlli sani, non aumentato! Tuttavia è interessante rilevare che un blocco della glicolisi produrrebbe comunque un blocco del ciclo di Krebs, quindi in entrambe le condizioni descritte il quandro clinico sarebbe probabilmente lo stesso. E sia lo studio australiano che quello giapponese sono coerenti con quello sui pazienti toscani.

Giappone vs Inghilterra

Tra il 2009 e il 2013 un gruppo inglese costituito dal fisico Norman Booth, dal medico Sarah Myhill, e da McLaren-Howard ha prodotto una serie di studi sui mitocondri dei neutrofili estratti dal sangue periferico di pazienti ME/CFS (Myhill S et al. 2009), (Booth, N et al 2012), (Myhill S et al. 2013) in cui dimostrarono una complessiva perdita di efficienza di questi organelli, in parte riconducibile a un difetto dell’enzima ADP/ATP translocator (ANT in figura 3), specialmente nella sua funzione di esportazione di ATP da dentro i mitocondri al citoplasma. Sorprendentemente questo enzima è sottoespresso, secondo lo studio sui pazienti italiani. Tuttavia questo dato non permette di dedurre nulla di particolare sul ciclo di Krebs, e quindi non è possibile fare un confronto fra gli studi inglesi e quello giapponese e australiano.

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Figura 3. La catena respiratoria (Cohen BH, Gold, DR, 2001).

Giappone vs California

In un precedente post ho provato a discutere i dati metabolici di Whitney Dafoe, il figlio del celebre genetista Ronald Davis (Stanford University), il quale è stato sottoposto per primo a un nuovo test metabolmico, uno dei più completi esistenti (circa 400 metaboliti). Quello che risulta dal suo test è una complessiva inibizione sia della glicolisi che del ciclo di Krebs. In questo caso dunque si ha un paziente che rientrerebbe nel profilo descritto dagli australiani, e non in quello descritto dai giapponesi, anche se non è possibile fare un confronto diretto con lo studio australiano, che non prevede l’analisi diretta dei metaboliti del TCA.

Tutte le strade portano alla ME/CFS

Si deve ammettere che lo studio giapponese non è coerente con quello australiano, tuttavia emerge una possibilità: che i due studi abbiano descritto due diversi difetti metabolici (blocco della parte iniziale del TCA nel primo, e della glicolisi nel secondo) che portano entrambi allo stesso quadro clinico, ovvero alla ME/CFS. Infatti tanto in un caso, che nell’altro, si avrebbe una depressione del ciclo di Krebs. In entrambi i casi si avrebbe poi un quadro compatibile con la sovra espressione degli enzimi ATPB e ACON (studio europeo). Quest’ultimo studio riporta poi una sotto espressione dell’enzima ANT, che sembra disfunzionale negli studi inglesi. Il caso di Whitney è in fine compatibile con lo studio australiano. L’esito finale è in ogni caso una deplezione di ATP che può ben essere la causa di deficit cognitivi, della post-exertional malaise, della fatica a riposo, e della POTS. Ovvero di ciò che chiamiamo comunemente ME/CFS.

Conclusione e prospettive

In conclusione, sembrano essere almeno due le strade metaboliche che portano alla ME/CFS. Una mia ricerca, attualmente in corso (e basata per il momento sui dati di soli due pazienti) potrebbe spiegare entrambe questi difetti metabolici, attraverso un fenomeno autoimmune. Basta infatti considerare che…

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Il bicchiere mezzo pieno

Il bicchiere mezzo pieno

Il paziente zero

All’inizio di questo anno si è tenuta a San Francisco l’edizione 2016 della Personalized Medicine World Conference (PMWC) (programma). Durante la prima giornata dei lavori, il dr. Andreas Kogelnik, medico e bioingegnere presso l’Open medicine Institute, ha presentato alcuni dei dati relativi al metabolismo energetico di un giovane uomo affetto da ME/CFS, come esempio di applicazione delle nuove indagini metabolomiche in patologie difficili e ancora sconosciute. Il paziente in questione è il figlio di Ronald Davis, genetista presso la Stanford University attualmente impegnato nella ricerca sulla ME/CFS e sulla Lyme cronica, presso l’Open Medicine Foundation. E’ lo stesso Kogelnik a rivelare nel suo intervento l’identità dell’uomo di cui discute i dati metabolici, e d’altra parte le sfortunate vicende di questo ragazzo sono state rese pubbliche dalla sua stessa famiglia, anche allo scopo di incentivare la ricerca scientifica e l’investimento per la ME/CFS. Chi fosse interessato, trova un toccante racconto del progressivo declino intellettivo e fisico di Whitney (questo è il suo nome), in questo video e in quest’altro.

Un fotografo e la foto del suo metabolismo

Whitney, che ora ha approssimativamente 35 anni, da alcuni anni non è più in grado di spostarsi dal suo letto, di leggere, e di comunicare con i suoi genitori. In passato è stato un apprezzato fotografo e ha girato il mondo. Questo è il suo sito personale. L’ultimo aggiornamento (2013) dice: “Molto malato. Non posso parlare. Non posso scrivere abbastanza per comunicare. Non intrattengo una conversazione con qualcuno da sei mesi…” Whitney è un caso singolare, sia perché ha una manifestazione particolarmente grave di ME/CFS (ma ci sono altri pazienti come lui), sia perché suo padre è un professore di genetica presso una delle migliori università del mondo (Stanford University). E cosa può fare un papà-scienziato per salvare un figlio affetto da una condizione incurabile? Studia, certo! Ma non si limita a perlustrare compulsivamente le pubblicazioni scientifiche o i libri di biologia; mette in piedi un’intera squadra di ricercatori, cerca fondi per finanziarli, e inventa nuove tecnologie, per combattere la malattia. Nel video dell’intervento di Andreas Kogelnik possiamo vedere i primi risulatati del suo sforzo. In particolare al minuto 8 abbiamo una eloquente istantanea del metabolismo energetico di Whitney (vedi figura).

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Il livello di alcuni metaboiti della glicolisi e del ciclo di Krebs di Whitney, tratti dal video dell’intervento di Andreas Kogelnik, durante l’edizione 2016 della PMWC.

Joule e glucosio

Prima di esaminare i dati metabolici di Whitney, ricordo brevemente che il processo attraverso il quale le nostre cellule estraggono energia dai legami chimici del glucosio, consiste in due fasi. La prima, la glicolisi, avviene nel citoplasma (fuori dai mitocondri) e permette di ricavare due molecole di ATP da ogni molecola di glucosio. Lo scarto della glicolisi consiste in due molecole di piruvato, per ciascuna molecola di glucosio processata. Ma questo sottoprodotto è il carburante che alimenta la seconda fase, che si verifica all’interno dei mitocondri. In questa seconda fase, il piruvato è convertito in Acetil-CoA (con la sintesi di 3 molecole di ATP per ciascun piruvato), e l’Acetil-CoA è poi inviato al ciclo di Krebs (o ciclo dell’acido citrico), dove sono prodotte altre 12 molecole di ATP per ogni molecola di Acetil-CoA. Più precisamente, il ciclo di Krebs produce una molecola di ATP, tre di NADH e una di FADH2; queste due ultime molecole vengono inviate alla fosforilazione ossidativa (membrana dei mitocondri) dove vengono utilizzate per sintetizzare complessivamente 11 molecole di ATP. La conclusione è che una molecola di glucosio permette di produrre 2 molecole di ATP nel citoplasma, più 36 molecole all’interno dei mitocondri. Questi sono i rudimenti del bilancio energetico delle cellule. La questione si complica quando si considera che anche gli acidi grassi e alcuni amminoacidi sono utilizzati dai mitocondri per produrre energia.

Metà non basta

Cosa ci dice l’istantanea del metabolismo energetico di Whitney? Nel momento in cui si tiene conto del fatto che i dati sono stati normalizzati rispetto presumibilmente alla media aritmetica del controllo sano, emerge che il suo generatore funziona a circa metà della potenza media. Infatti, il piruvato (prodotto finale della glicolisi) è circa 0.6 del valore medio, e tutti i metaboliti del ciclo di Krebs sono compresi tra 0.4 e 0.7. Coerentemente, il livello di glucosio nel sangue è leggermente aumentato (il pancreas di Whitney riesce a evitare l’iperglicemia, evidentemente), mentre quello del lattato è altrettanto basso (il lattato è prodotto dal piruvato).  Ora, se il generatore cellulare di energia eroga una potenza (energia liberata per unità di tempo) pari al 50% di quello che normalmente l’organismo produce, ci si può aspettare che a soffrirne maggiormente siano gli organi con il più alto fabbisogno energetico, come il cervello e i muscoli. E questo modello teorico, basato sui dati reali della termodinamica di Whitney, spiegherebbe i suoi sintomi. Certamente altre interpretazioni sono possibili!

Fuori dal circolo di Krebs

Ma dove si trova il blocco del generatore cellulare del paziente zero? Se la glicolisi funziona al 50% e se è la glicolisi ad alimentare i mitocondri, la risposta sembra semplice: il blocco è nel citoplasma, cioè nella glicolisi stessa, fuori dai mitocondri. Questa interpretazione dei dati è coerente con quanto dimostrato da Christopher Armstrong e dai suoi colleghi della Università di Melbourne, nel 2015. Il gruppo di ricerca è stato infatti in grado di evidenziare un blocco della glicolisi, analizzando il normale pannello degli acidi organici nel sangue e nelle urine di 34 pazienti affetti da ME/CFS (Armstrong CW et al. 2015). L’ipotesi di un blocco della glicolisi è compatibile altresì con il recente lavoro europeo sui pazienti della reumatologia di Pisa, in cui è stata dimostrata una sovra espressione di due fondamentali enzimi mitocondriali (vedi questo post). Infatti, se i mitocondri vengono sottoposti a una riduzione dell’approvigionamento di carburante, è logico pensare che aumenteranno il numero di enzimi per estrarre ogni possibile joule dal substrato disponibile. La mia tuttavia è una semplificazione, infatti il ciclo di Krebs viene alimentato anche da carburante alternativo al piruvato, come alcuni amminoacidi e gli acidi grassi. Quindi il  ragionamento è riduttivo e non conclusivo.

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Whitney, da questa pagina.

Ipometabolismo come adattamento

Un’altra possibile spiegazione per la complessiva depressione del sistema energetico (fuori e dentro i mitocondri) è quella fornita da Robert Naviaux, nella sua recente pubblicazione sul metabolismo della ME/CFS. Secondo la sua visione, i mitocondri vengono parzialmente spenti, come risposta a una minaccia ambientale persistente (principalmente infezioni o sostanze tossiche); questa risposta è un meccanismo evolutivamente conservato, il cui ruolo è quello di proteggere l’organismo dalla minaccia, un po’ come la febbre è un sistema di difesa che favorisce la risposta immunitaria contro un virus o un battere. Se questo fosse vero, il blocco dei mitocondri dovrebbe essere gestito in concerto con un blocco della glicolisi, altrimenti si avrebbe l’accumolo di sostanze tossiche, come il lattato. Anche questa ipotesi si adatta bene ai dati sperimentali relativi a Whitney.

Conclusione

Il metabolismo del paziente zero, ovvero del primo paziente ME/CFS soggetto a una approfondita analisi metabolica secondo le nuove tecnologie disponibili, rivela un complessivo dimezzamento della potenza erogata dai generatori di energia delle sue cellule. Apparentemente il difetto è nella parte iniziale del metabolismo del glucosio, fuori dai mitocondri, e si riverbera ovviamente sul metabolismo mitocondriale, che risulta depresso. Tuttavia altre interpretazioni di questi dati sono possibili, come quella dell’ipometabolismo proposta da Naviaux e colleghi. Inoltre, sebbene una riduzione della energia del 50% sembrerebbe spiegare i sintomi, non è possibile affermare che questa riduzione sia la causa della patologia, piuttosto che una sua semplice conseguenza.

Mitocondri pisani

Mitocondri pisani

Una malattia, due gemelli, e tre enzimi

Un recente studio italo-inglese-tedesco (Ciregia F et al 2016) ha investigato il livello di enzimi mitocondrali in due gemelli, uno sano e uno affetto da ME/CFS. I mitocondri sono stati estratti dalle piastrine del sangue periferico dei due soggetti, quindi è stato misurato il livello di svariate proteine mitocondriali. Di queste, 194 sono risultate avere livelli significativamente diversi nei due individui, e in particolare la differenza più importante si è registrata in 41 di esse, con 34 sovra espresse e 7 sotto espresse nel gemello CFS rispetto a quello sano. I ricercatori si sono poi concentrati su tre dei 41 enzimi sovra espressi, e precisamente ACON, ATPB e MDHM.

Il test diagnostico

Dopo aver verificato che lo stesso risultato poteva ottenersi analizzando la saliva piuttosto che il sangue periferico, gli Autori hanno proceduto a misurare i livelli di questri tre enzimi nei campioni di saliva di 45 persone sane e di 45 pazienti ME/CFS, reclutati dalla Divisione di Reumatologia della Università di Pisa. L’analisi statistica su questi campioni ha confermato la sovra regolazione degli enzimi ACON e ATPB nei soggetti ME/CFS rispetto ai soggetti sani, ma non del terzo enzima. Questi due marcatori permettono di avere un test con una sensiblità dell’85%, e una specificità del 72%. Questo significa che su 100 soggetti con ME/CFS il test ne riconoscerebbe solo 85; su 100 soggetti sani verrebbe negativo in 72 e positivo nei restanti 28 casi.

Mitocondri che vogliono, ma non possono

Ma che funzione hanno questi due enzimi espressi in modo insolitamente alto? ATPB è la subunità beta dell’enzima ATP sintetasi, ovvero l’enzima che catalizza la reazione:

ADP + Pi + Energia → ATP

in cui una molecola di adenosina monofosfato è convertita in una molecola di adenosina trifosfato. Si trova nella membrana interna dei mitocondri e interviene alla fine della catena di trasporto degli elettroni. L’atro enzima (ACON) è l’aconitasi mitocondriale, e interviene nel ciclo di Krebs. Entrambi gli enzimi svolgono cioè funzioni essenziali alla produzione di energia, e una loro sovra regolazione potrebbe essere un tentativo dei mitocondri di sopperire a un funzionamento deficitario.

Energia e infiammazione

Gli Autori hanno potuto rilevare che il livello di ATPB era tanto più alto quanto più elevate erano le due citochine proinfiammatorie INF-gamma e TNF-alpha. La prima viene prodotta dalle cellule NK e stimola i macrofagi a presentare gli antigeni alle Th, oltre ad avere altre funzioni; la seconda è un fattore di attivazione di macrofagi, NK e cellule dendritiche, tra le altre proprietà. Entrambe svolgono un ruolo di ‘attivazione’ complessiva del sistema immunitario innato e adattativo e possono quindi considerarsi degli indici infiammatori sensu lato.

Conclusione

Questo lavoro europeo, partendo dallo studio della espressione degli enzimi dei mitocondri delle piastrine di due gemelli, uno malato e uno sano, propone due di queste proteine (ATPB e ACON) come test diagnostico per la ME/CFS. Inoltre dimostra che i mitocondri sovra esprimono questi due enzimi, in quello che sembra essere un tentativo (futile?) di potenziare una produzione di ATP deficitaria. Il livello dell’ATPB è inoltre tanto maggiore, quanto maggiore è l’infiammazione. Il fatto che l’anomalia sia stata riscontrata solo nel gemello malato suggerisce che la disfunzione mitocondriale non è di origine genetica. E’ acquisita, e verosimilmente legata a fenomeni infettivi e/o immunitari, come indica la correlazione tra ATPB e citochine pro-infiammatorie.

CFS e mitocondri

Questo studio sembra essere coerente con diversi altri che lo hanno preceduto, a cominciare dalla recente pubblicazione di Naviaux e colleghi. Per altri studi sul rapporto tra CFS e mitocondri si legga poi questo post.

Lo studio Naviaux

Lo studio Naviaux

Ipometabolismo

E’ stato pubblicato con due giorni di anticipo lo studio di R Naviaux della University of San Diego. L’analisi di 612 metaboliti nel sangue di 40 pazienti e di altrettanti controlli sani permette di ricondurre la CFS a una risposta ipometabolica a persistenti segnali di minaccia ambientale. Questo ipometabolismo assomiglierebbe da vicino al ‘dauer’ (dal tedesco durata), uno schema metabolico (già noto) che i nematodi possono innescare durante periodi di avverse condizioni ambientali.

Un test per la CFS

Con soli 8 di questi metaboliti è possibili identificare in modo accurato i pazienti maschi di CFS, mentre ne sono necessari 13 per i pazienti di sesso femminile. Questo configurerebbe la possibilità di un test diagnostico relativamente economico. Il test avrebbe una accuratezza del 94% per gli uomini, e del 96% per le donne. L’accuratezza è stata misurata come area under the ROC curve (AUC), una funzione statistica che indica la probabilità che, presi a caso un individuo con la patologia e uno senza, il primo venga classificato dal test come positivo, e il secondo come negativo.

Ipometabolismo e infezioni intracellulari

L’alterazione più consistente rilevata nei pazienti è una diminuzione del livello di sfingolipidi e glicosfingolipidi (dei costituenti della parete cellulare) la quale renderebbe conto del 55% della alterazione metabolica riscontrata nei maschi, e del 44% di quella presente nelle donne (vedi figura). Questa riduzione NON è compatibile con una infezione acuta e viene verosimilmente ricondotta dagli autori a una forma di difesa contro “infezioni virali e infezioni batteriche intracellulari persistenti”. Nel materiale supplementare dello studio si legge in particolare che l’inibizione della sintesi di regioni delle pareti cellulari ricche in sfingolipidi potrebbe essere un meccanismo di difesa contro l’invasione intracellulare da parte di batteri come Coxiella burnetii e Borrelia burgdorferi.

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Nel diagramma di Venn (in basso a sinistra) le anomalie metaboliche comuni a maschi e femmine con CFS, e quelle particolari dei due sessi. L’anomalia più significativa, che sembra caratterizzare meglio la patologia, è quella della riduzione nel sangue periferico degli sfingolipidi. Questa riduzione è ricondotta daglia autori a infezioni virali e/o batteriche intracellulari persistenti. L’immagine è riprodotta dallo studio di Naviaux e colleghi (link a fondo pagina).

Malattia mitocondriale

Partendo dalle anormalità metaboliche riscontrate, gli Autori risalgono a una deficienza di NADPH, una molecola implicata nella funzione dei mitocondri. Tuttavia fanno notare che il NADPH non è “né il problema nè la soluzione”, ma  un enzima e cofattore che può funzionare solo se in concerto con centinaia di altre molecole. In particolare fanno notare che non si può pensare semplicemente di assumere un integratore di NADPH per aumentare il metabolismo nella CFS.

Gli eventi scatenanti

Una analisi sommaria dei possibili eventi che hanno indotto in questi 40 pazienti l’innesco della patologia, ha permesso agli Autori di classificare gli eventi scatenanti in 5 gruppi:

  1. infezioni virali, batteriche, funginee, e parassitarie;
  2. esposizione a sostanze tossiche;
  3. traumi fisici;
  4. traumi psicologici.

I gruppi più consistenti sono il primo e il secondo. Tuttavia non è possibile risalire a una specie patogena o a una sostanza chimica che con maggiore frequenza possa scatenare la malattia. Da questo gli Autori concludono che cause diverse possono produrre la medesima risposta ipometabolica, e che quest’ultima è il denominatore comune della CFS.

La terapia

Mentre un ridotto numero di metaboliti è sufficiente a configurare un test e la base metabolica comune della patologia, l’analisi di ulteriori metaboliti sarebbe necessaria invece per impostare la terapia ad hoc per ciascun soggetto, basata sulle anomalie particolari di ogni paziente. Dunque la terapia si dovrebbe basare su un trattamento comune a tutti i pazienti, associato a un trattamento personalizzato. Comunque Naviaux e colleghi suggeriscono che teoricamente un ripristino del metabolismo può essere ottenuto aumentando la disponibilità di folato, B12, glicina, e serina; e intervenendo sul metabolismo della B6. Questo dovrebbe indurre una maggiore sintesi di NADPH con conseguente ripristino di un metabolismo normale.

PNAS

La rivista su cui è stato pubblicato lo studio è importante, si tratta di Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), ha un impact factor di 9 e rotti ed è considerata l’organo ufficiale dell’United States National Academy of Sciences. Questo significa che il presente lavoro è stato ritenuto significativo sia nel tipo di dati riportati che nella loro interpretazione.

Ipometabolismo e malattia di Lyme

Naviaux e colleghi riconducono la riduzione di sfingolipidi (la principale alterazione metabolica riscontrata) a infezioni intracellulari persistenti, virali o batteriche. In pratica questo ipometabolismo è un ‘pezzo’ della risposta immunitaria a infezioni intracellulari, qualunque esse siano. E’ un modo per ‘alzare il ponte elevatoio’ e prepararsi all’assedio. Questo tipo di risposta immunitaria dunque può ben essere presente in alcuni casi di malattia di Lyme, infezione nota per essere sia persistente (sopravvive anche agli antibiotici normalmente usati) che intracellulare (studi in vitro). Come già notato sopra, nel materiale supplementare dello studio si legge in particolare che l’inibizione di regioni delle pareti cellulari ricche in sfingolipidi potrebbe essere un meccanismo di difesa contro l’invasione intracellulare da parte di batteri come Coxiella burnetii e Borrelia burgdorferi. Questo fornisce finalmente una spiegazione plausibile alla osservazione comune che i pazienti esposti a B. burgdorferi si dividono in due insemi senza intersezione:

  1. coloro che riportano danni hanno in genere una infezione con manifestazioni più vistose, una fase acuta devastante che si lascia dietro lesioni ad alcuni organi, e non sviluppano CFS;
  2. coloro che scivolano nella CFS non avranno mai danni agli organi.

Credo ora che il primo gruppo non abbia la possibilità di utilizzare l’ipometabolismo come difesa contro la invasione intracellulare della spirocheta. Ovvero non riesce a ridurre le zattere lipidiche delle pareti cellulari. Nel secondo caso invece si ha ipometabolismo con riduzione degli sfingolipidi, e questo previene la diffusione intracellulare della infezione, quindi l’apoptosi e in ultima analisi il danno agli organi. Il prezzo da pagare per preservare i tessuti è però la sospensione della vita fisica e intellettiva, sospensione che chiamiamo comunemente CFS.

Punto debole dello studio

Forse una criticità dello studio è la mancanza di un gruppo di controllo con altre malattie. Lo studio dimostra in effetti che nei pazienti CFS è presente un ipometabolismo, ovvero che questi soggetti sono effettivamente malati. Questo naturalmente va a vantaggio del riconoscimento della patologia. Tuttavia non ci dice se questa alterazione ha davvero a che fare con i sintomi della CFS, o piuttosto non è un risocntro comune in tutti coloro che hanno malattie croniche. In questo senso sicuramente sono necessari ulteriori studi, includendo controlli costituiti da individui con patologie come la sclerosi multipla, il diabete etc.

Bibliografia

L’articolo di Naviaux su PNAS si trova qui.

Maggiori dettagli su Naviaux e il suo lavoro si trovano in questo post e in questo.

CFS come malattia metabolica

Questo 31 agosto sarà pubblicato il primo studio del gruppo di Robert Naviaux sulla CFS. Si tratta della quantificazione di 450 molecole nel sangue periferico di 43 pazienti CFS e di altrettanti controlli sani. Questi dati, opportunamente elaborati, forniscono una istantanea del metabolismo energetico, e non solo, dei pazienti. Sul sito del Gordon Medical Research Center un articoletto annuncia la data della pubblicazione, e comunica che una differenza significativa tra pazienti e controlli sani è stata rilevata, con la prospettiva di un marcatore per la CFS, se i risultati saranno confermati in studi successivi (vedi qui). Si anticipa inoltre che lo studio di conferma verrà effettuato sui pazienti di Paul Cheney, un fisico e medico che si occupa di CFS dal momento in cui si trovò coinvolto, insieme al collega dr Daniel Peterson, nella gestione di una forma epidemica di CFS che nel 1984 colpì la cittadina Incline Village, nella regione del Lago Tahoe (Nevada).

Volendo anticipare quello che potrebbe essere stato trovato nello studio che verrà pubblicato, si può pensare che Naviaux abbia riscontrato nei pazienti una attivazione della risposta di pericolo delle cellule (CDR, cell danger response). In effetti questo è quello che si legge in una pagina dell’Open Medicine Institute, dove ci si riferisce con tutta probabilità proprio alla ricerca che è in procinto di essere pubblicata (si parla infatti di 90 persone sottoposte ai test). Brevemente, il CDR è uno stato di ipoattività dei mitocondri indotto sia da infezioni (batteri, virus, e funghi), che da agenti tossici (come i metalli pesanti). Questa disattivazione dei mitocondri ridurrebbe la proliferazione della infezione e quindi è da considerarsi parte della risposta immunitaria (Naviaux, 2013).

Il CDR è dunque allo stesso tempo una parte (nuova e poco conosciuta) della risposta immunitaria, e una malattia mitocondriale nel momento in cui continui indefinitivamente. Per una introduzione al CDR e ai difetti mitocondriali riscontrati nella CFS si legga questo post.

In questa sede mi piacerebbe fare una osservazione sul CDR, usando come esempio la malattia di Lyme. Nella Lyme coloro che riportano danni macroscopici ai tessuti (danni cardiaci, paresi permanenti, lesioni del SNC, delle articolazioni etc) NON sono quelli che sviluppano la clinica della CFS, e viceversa. I due insiemi hanno intersezione quasi nulla. Coloro che riportano danni hanno in genere una infezione con manifestazioni più vistose, una fase acuta devastante che si lascia dietro lesioni ad alcuni organi. Coloro che scivolano nella CFS hanno manifestazioni meno eclatanti e non avranno mai danni agli organi. Nel primo caso, secondo me, il sistema immunitario ‘sceglie’ di usare le armi pesanti contro una infezione che altrimenti prenderebbe il sopravvento. Nel secondo caso invece si opta per un’altra strategia: si mette l’organismo in uno stato di ibernazione, bloccando così anche il progredire della infezione. Si usano armi indirette, meno lesive dei tessuti. Questa risposta immunitaria alternativa potrebbe essere proprio il CDR. Il prezzo da pagare però per risparmiare i danni tissutali è la sospensione della vita intellettiva e fisica, per anni o decenni.

Il fatto che il CDR rimanga attivo indefinitivamente potrebbe rispecchiare sia la persistenza della infezione (nella Lyme la persistenza è dimostrata nel modello animale) che l’incapacità del CDR di disattivarsi, dopo anni di attivazione. Nel primo caso, disattivare forzatamente il CDR sarebbe pericoloso? Forse sì.

Chi fosse interessato può trovare in questo post un possibile legame tra i mastociti e l’attivazione del CDR. In questo ulteriore post si portano altri dati a favore della suddetta ipotesi. Per una introduzione al CDR e ai difetti mitocondriali riscontrati nella CFS si legga questo post.

Fatica, mitocondri e suramina

Il dr Robert Naviaux (University of California) è un esperto di mitocondri e dovrebbe pubblicare a breve con Ronald Davis (Stanford University), nell’ambito dell’ambizioso programma di ricerca nominato The End ME/CFS Project.

In un recente articolo, Naviaux riassume la sua teoria sulla risposta di pericolo delle cellule (cell danger response, CDR). Si tratta di una catena di segnali e alterazioni con cui l’organismo risponde all’aggressione da parte di virus, batteri e sostanze inquinanti (Naviaux, 2013).

Un aspetto interessante di questo modello è la riduzione della funzione mitocondriale nella CDR: i mitocondri limitano il consumo di ossigeno (e quindi la sintesi di ATP) determinando un aumento della concentrazione di questo elemento nel citoplasma. Ciò produce un ambiente ostile a molti patogeni e inoltre sembra ostacolare la sintesi di polimeri, con la conseguente inibizione della formazione di DNA, RNA e proteine di virus intracellulari. Quindi i mitocondri entrerebbero in una forma di letargo, allo scopo di inibire o rallentare la replicazione di patogeni intracellulari.

Ora, secondo un modello matematico (analisi in silico) sviluppato da un gruppo di ricerca tedesco per il metabolismo dei muscoli scheletrici, una ridotta sintesi di ATP può essere una giustificazione sufficiente per un ritardo nel recupero, dopo sforzi anche modesti (Lengert, 2015). Questo ritardo è un sintomo caratteristico della CFS (Institute of Medicine, 2015) e ad esso ci si riferisce con la sigla PEM (post-exertional malaise).

Un deficit mitocondriale potrebbe anche rendere conto della disfunzione cognitiva (forse il sintomo peggiore della malattia) sperimentata da questi pazienti, recentemente descritta sinteticamente come un complessivo rallentamento della velocità di elaborazione delle informazioni (Institute of Medicine, 2015). Deficit nella memoria, nell’attenzione e nel linguaggio sono in effetti stati descritti in almeno una delle numerose patologie mitocondriali di origine genetica, la MELAS (mitochondrial myopathy, encephalopathy, lactic acidosis, and strokelike episodes) (Neargarder, 2007), e le patologie mitocondriali condividono con la CFS il riscontro di un aumento di lattato nei ventricoli laterali del sistema nervoso centrale (Lin, 2003) e (Mathew, 2009). Inoltre in alcune patologie mitocondriali si ha un livello di fatica simile a quello descritto nella ME/CFS (Gorman GS et al. 2015).

Il lattato è sintetizzato a partire dal piruvato (prodotto finale della glicolisi). Se i mitocondri sono rallentati, il piruvato si accumula (non viene fatto entrare nei mitocondri a ritmo adeguato) e viene convertito in lattato, da inviare ai sistemi anerobici di sintesi di ATP. Questo giustifica l’aumento di tale molecola nel caso di difetti mitocondriali.

La disfunzione dei mitocondri descritta nel CDR potrebbe inoltre spiegare la ridotta sintesi di ATP dimostrata nella CFS da un gruppo di ricerca inglese, il quale ha rilevato una deplezione di adenosina trifosfato nel citoplasma dei neutrofili, oltre a una inefficiente riconversione di ADP in ATP da parte dei mitocondri delle stesse cellule (Myhill, 2009).

Una disfunzione mitocondriale è compatibile altresì con il difetto nel trasporto degli acidi grassi (carburante per i mitocondri, esattamente come il piruvato), riscontrato nella CFS da almeno un gruppo di ricerca (Reuter, 2011).

Un difetto mitocondriale spiegherebbe in modo semplice anche il riscontro di un deficit del sistema aerobico, rilevato nel 2007 da Mark Vanness (University of the Pacific, California). Nello studio si dimostrò come effettuando un test da sforzo su cyclette in due giorni consecutivi su 6 donne con diagnosi di CFS, si apprezzava il secondo giorno una ridotto picco del consumo di ossigeno (VO2 peak) e un ridotto consumo di ossigeno al momento del passaggio dal sistema aerobico a quello anaerobico di produzione di energia (AT, anaerobic threshold) (Vanness, 2007). Questo esperimento costituisce una misura obiettiva di un inefficiente recupero del sistema aerobico, e quindi anche della PEM. Il medesimo risultato fu poi confermato nel 2013 su un numero più ampio di pazienti (Snell, 2013).

Altro ambito stimolante è il possibile legame tra una inibizione della funzione mitocondriale e il sickness behaviour, cioè quell’alterazione comportamentale che accompagna le malattie infettive, in cui il malato è indotto a ritirarsi in solitudine e a ridurre la sua attività (Moreau, 2008). E’ un comportamento che ha lo scopo di costringere il soggetto a riposarsi e ad avere pochi contatti sociali, così da garantire un recupero migliore e da evitare il contagio ad altre persone. E’ chiaro che una inibizione dei mitocondri potrebbe essere un ottimo sistema per indurre questo schema comportamentale.

Un possibile scenario dunque è quello di un equilibrio in cui i mitocondri limitano la velocità del proprio metabolismo allo scopo di arginare la replicazione di patogeni intracellulari. Potrebbe essere proprio questo l’equilibrio “con una sua saggezza” di cui parlò in un’intervista il dr. Jose G. Montoya (Stanford University). Uno stato stazionario in cui la risposta del corpo a un insulto infettivo, se da un lato preserva l’organismo da danni macroscopici a organi vitali, dall’altro lo condanna a un letargo che si può spesso ben definire con le parole che –in questa breve intervista– usa lo stesso dr. Montoya: “un’altra forma di morte”.

Secondo Naviaux, la CDR può essere inibita – una volta rimossa la causa – da sostanze anti-purinergiche, come la suramina, che è già stata investigata nel modello animale di diverse patologie come la sclerosi multipla, il lupus e l’artrite reumatoide (Naviaux, 2013). Ed è incoraggiante che nei topi l’inibizione del CDR da parte della suramina avvenga in poche ore e che l’effetto perduri per 5 settimane (Naviaux, 2013). L’azione anti-purinergica della suramina si manifesta attraverso la sua attività antagonista rispetto al recettore P2X.

La suramina è un vecchio farmaco, usato per curare la sleeping sickness, una malattia indotta dal protozoo Trypanosoma brucei (McGeary, 2008). In quanto tale, presenta un certo grado di sicurezza negli esseri umani, pur non essendo esente da significativi effetti avversi. Attualmente è in corso un trial clinico in cui si vuole valutare l’efficacia di una somministrazione singola di suramina nell’autismo. La dose è di 20 mg/kg IV in 50 ml di soluzione fisiologica. L’autismo è infatti una delle patologie per le quali si ritiene che il CDR possa avere un ruolo eziologico (Naviaux, 2013). Come riferimento, la dose per la tripanosomiasi negli adulti è di 1 grammo nei giorni 1, 3, 7, 14, 21.