La maledizione di Didone

La maledizione di Didone

Aeneis, Liber IV, v 607-621

Sole, tu che illumini i giorni umani,
Giunone, che sai del mio dolore,
Ecate, che tormenti i sonni urbani.

E voi Dire e dèi d'Elissa che muore,
se sventura benevolenza vale,
ascoltatemi. Poiché l'impostore

le ancore getterà al litorale
e questo Giove comanda che accada,
almeno che un nemico eccezionale

incontri, solitario esule vada,
implori aiuto, e veda le morti
amare dei suoi e la vita non goda  

e il trono e il regno a pace iniqua porti.
Ma cada anzitempo e senza sepolcro.
Ciò chiedo con il sangue, per le sue sorti.

Terzine con rime ABA, BCB, …. Di seguito il conteggio delle sillabe, tenendo conto delle sinalefe.

Soletucheilluminiigiorniumani
Giunonechesaidelmiodolore
Ecatechetormentiisonniurbani
evoiDireedéid’Elissachemuore
sesventurabenevolenzavale
ascoltatemipoichél’impostore
leancoregetteallitorale
equestoGiovecomandacheaccada
almenocheunnemicoeccezzionale
incontrisolitarioesulevada
imploriaiutoevedalemorti
amaredeisuoielavitanongoda
eiltronoeilregnoapaceiniquaporti
Macadaanzitempoesenzasepolcro.
Ciòchiedocolsangueperlesuesorti
L'intero quarto libro della Eneide in latino si trova qui. In particolare, i versi tradotti sono i seguenti. 

Sol, qui terrarum flammis opera omnia lustras;
tuque harum interpres curarum et conscia, Iuno,
nocturnisque Hecate triviis ululata per urbes,
et Dirae ultrices, et di morientis Elisae,
accipite haec: meritumque malis advertite numen, 
et nostras audite preces. Si tangere portus
infandum caput, ac terris adnare necessest:
et si fata Iovis poscunt; hic terminus haeret:
at bello audacis populi vexatus, et armis,
finibus extorris, complexu avulsus Iuli,
auxilium imploret, videatque indigna suorum
funera: nec, cum se sub leges pacis iniquae
tradiderit, regno aut optata luce fruatur:
sed cadat ante diem mediaque inhumatus arena.
Haec precor, hanc vocem extremam cum sanguine fundo.

Di seguito le medesime parole, disposte nella costruzione italiana, con una traduzione parola per parola.

Sol, qui flammis opera omnia terrarum lustras;
Sole, che illumini con il fuoco tutte le attività della Terra;
et tu, Iuno, interpres et conscia harum curarum,
e tu, Giunone, intermediaria e complice di questi affanni
et Hecate ululata nocturnis triviis per urbes,
e Ecate, invocata con ululati nei trivi di notte, per le città,
et Dirae ultrices, et di morientis Elisae,
e Dirae vendici, e dèi di Elissa che muore
accipite haec: et advertite malis meritum numen, et nostras audite preces.
accettate queste [parole] e rivolgete alle sventure la meritata benevolenza, e ascoltate le mie preghiere.
Si necessest infandum caput tangere portus ac terris adnare et si fata Iovis poscunt
Se è inevitabile che lo scellerato debba toccare il porto e raggiungere la terra e questo stabilisce il volere di Giove,
hic terminus haeret: at vexatus bello et armis audacis populi,
che così sia: ma almeno sia vessato dalla opposizione armata di un popolo audace,
finibus extorris, avulsus complexu Iuli, auxilium imploret,
sia bandito dal territorio, lontano dall’abbraccio di Iulio, implori aiuto,
videatque indigna suorum funera: nec, cum se tradiderit sub leges iniquae pacis, regno aut optata luce fruatur:
assista alla morte indegna dei suoi, né – sottopostosi a un patto iniquo di pace – goda il regno e la dolce vita:
sed cadat ante diem et inhumatus media arena.
ma cada anzi tempo e resti senza sepoltura sulla spiaggia.
Haec precor, hanc vocem extremam cum sanguine fundo.
Di questo vi supplico; queste ultime parole pronuncio col sangue.

La foto di copertina è un fotogramma dello sceneggiato “Eneide”, diretto da Franco Rossi (1971). Rappresenta Didone, interpretata da Olga Karlatos.

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La cognizione del dolore

La cognizione del dolore

1. Una resurrezione

Cosa pensò Michelangelo, in quel giorno di gennaio del 1506, davanti al gruppo del Laocoonte, appena dissotterrato da un campo, sul Colle Oppio? Michelangelo aveva quasi 31 anni: siamo dopo il Bacco, la Pietà e il David; prima della Cappella Sistina, e delle statue originariamente intese per la tomba di Giulio Secondo, e di quelle destinate alle tombe medicee. Per Michelangelo il Laocoonte della seconda metà del primo secolo a.C. dovette rappresentare una visione del proprio futuro, più che un cimelio di un lontanissimo passato.

Il rinvenimento del superbo capolavoro di Hagesander et Polydorus et Athenodorus rhodii, originariamente collocato in Titi imperatoris domo, secondo Plinio il Vecchio (Nat. Hist. XXXVI, 37, Ref), viene ricostruito da Irving Stone, nel suo The Agony and the Ecstasy:

Francesco Sangallo broke into the room, crying, “Father! They’ve unearthed a big marble statue in the old palace of Emperor Titus. His Holiness wants you to go at once and supervise excavating it.” A crowd had already gathered in the vineyard behind Santa Maria Maggiore. In a hollow, the bottom half still submerged, gleamed a magnificent bearded head and a torso of tremendous power. Through one arm, and turning around the opposite shoulder, was a serpent; on either side emerged the heads, arms and shoulders of two youths, encircled by the same serpent. Michelangelo’s mind flashed back to his first night in Lorenzo’s studiolo.
“It is the Laocoön,” Sangallo cried.
“Of which Pliny wrote!” added Michelangelo.

Irving Stone, The Agony and the Ecstasy, Book VII

La fonte qui è una memoria dell’infanzia del Francesco da Sangallo menzionato, figlio di Giuliano, architetto quest’ultimo che a Roma faceva parte, insieme a Michelangelo, di un circolo di artisti fiorentini attratti dalle commissioni papali. E a proprosito della biografia michelangiolesca di Irving Stone: l’autore non è uno storico dell’arte, non è un artista figurativo, non conosce l’italiano e poté usare solo le traduzioni delle fonti (quando disponibili); e non si può dire che sia un Tolstoj. Eppure il suo romanzo del 1961 (all’epoca molto popolare e tradotto anche in un bel film) è un piacevole catalogo delle opere di Michelangelo, contestualizzate, e di molte delle notizie biografiche disponibili all’epoca della stesura.

Non sappiamo cosa deve aver pensato Michelangelo, dicevo. Se davvero il suo San Matteo aveva già l’impostazione definitiva quando lo scultore lo lasciò a Firenze per partire alla volta di Roma nel 1505, egli dovette trovarsi davanti ad una versione compiuta ed estremamente evoluta della sua visione; se invece il San Matteo fu ritoccato in seguito, allora Agesandro, Polidoro e Atenodoro erano con lui, nel suo studio, mentre lavorava sul santo. Quale che sia la cronologia del San Matteo, in ogni caso l’impatto dei tre scultori di Rodi, morti e decoposti da 15 secoli, deve essere stato significativo su Michelangelo, che di certo ha presente il busto del Laocoonte mentre tenta di liberare dal “soverchio” del marmo lo schiavo morente e lo schiavo ribelle (1513).

2. Torsione nell’arte e nella natura

Ma saremmo ingiusti se concludessimo che la successione degli avvitamenti inseguiti da Michelangelo dopo il gennaio del 1506 sia completamente condizionata dal Laocoonte: basta guardare la battaglia dei centauri che Michelangelo scolpisce da adolescente, dove si trova un inventario di tutte le forme che svilupperà nella sua vita, per accorgersi che semplicemente il fiorentino era arrivato alla medesima conclusione dei colleghi di Rodi, indipendentemente; in un’altra vita, in un altro mondo. E a proprosito, una riflessione veloce sulla torsione che ricorre nell’arte. La sintesi della torsione è l’elica, curva che la Natura usa di frequente: si pensi alla elica alpha delle proteine, alla doppia elica del DNA, alla parete cellulare delle spirochete, alla struttura del collagene, ai gusci dei Gastropoda; l’elica e la sua proiezione sul piano ortogonale all’asse, la spirale, ricorre dicevo nell’arte: si trova in Michelangelo, in Giambologna (vedi il ratto della Sabina), in Van Gogh, nelle colonne tortili del Barocco, in alcune statue ellenistiche, nelle scale (vedi la scala di Pierluigi Nervi per lo stadio di Firenze), persino nei campanili (vedi Sant’Ivo alla Sapienza), solo per fare qualche esempio; e conferisce una idea di moto a oggetti che sono fermi. La cosa interessante è che il campo delle velocità di un qualunque corpo rigido congelato in un fotogramma del suo moto è proprio un campo elicoidale. Infatti, la velocità del generico punto P del solido, in un dato istante t, è descritta dalla equazione vettoriale

Eq. 1) \overrightarrow{v_P}(t)\,=\,\overrightarrow{v_O}(t)\,+\,\overrightarrow{\omega}(t)\times\overrightarrow{OP}

dove O è un altro punto del corpo (o dello spazio solidale ad esso) e dove \overrightarrow{\omega} è la velocità angolare (vedi qui, cap IV). Ora, se si prende la curva per P la cui tangenete è \overrightarrow{v_P}(t) e la si prolunga in modo che sia tangente in ogni suo punto al valore del campo delle velocità in quello stesso punto, si ottiene una elica, comunque si scelga P (Figura 1). L’elica cioè descrive proprio la matrice matematica del moto dei corpi nello spazio, oltre ad essere, come visto, una costante nelle forme naturali, microscopiche, nanoscopiche, e macroscopiche. E sebbene queste nozioni di cinematica siano posteriori ai Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (1687), gli artisti hanno sempre usato l’elica esattamente per suggerire una idea di moto, senza contare il fatto che l’elica sembra anche inscrivere in sé ulteriori connotazioni emotive e significati. L’elica, che non ha piani di simmetria (sebbene abbia punti di simmetria), è stata usata per animare le forme simmetrche, a un certo punto della storia dell’arte, essendo la simmetria forse il criterio di bellezza originario, quello a cui allude il poeta-pittore William Blake: “What immortal hand or eye could frame thy fearful simmetry?” (The Tyger, 1794).

Figura 1. Due curve tangenti, punto per punto, al medesimo campo vettoriale elicoidale. Il codice che genera questa figura è in appendice (risolve numericamente un sistema di tre equazioni differenziali). Sono indicati anche i versori del campo elicoidale per alcuni dei punti delle curve.

Io stesso tendo ad usare la torsione nelle mie composizioni: in Figura 2, il personaggio di spalle ha la testa che punta verso destra, mentre i suoi piedi si intuisce puntino a sinistra; dunque attraverso la sua lunghezza si realizza una rotazione del piano coronale (o frontale) di quasi 90°.

Figura 2. “You can’t win”, matita su carta, di Paolo Maccallini. Il disegno è ancora incompleto.

3. Creatori di mostri

Il Laocoonte dunque nasce una seconda volta nel 1506. Ma cosa si può dire della sua vera nascita? Tralasciando il dibattito sulla presunta presenza di un originale in bronzo più antico di un secolo, siamo davanti all’intrigante questione del rapporto tra la statua e i versi 201-224 del secondo libro della Eneide, che seguono la medesima narrazione. Virgilio scrisse l’Eneide tra il 29 e il 19 a.C.; il gruppo marmoreo fu prodotto tra il 40 e il 20 dello stesso secolo. Chi ha ispirato chi? Immagino che questa sia una domanda formulata più volte da menti ben più preparate della mia in questo genere di esercizi; io osservo solo che mentre Virgilio preferisce dei mostri (li chiama angues, serpens, dracones) che non hanno una corrispondenza con la zoologia nota (dimensioni a parte, sono serpenti con creste vermiglie: iubaeque sanguineae exsuperant undas), gli autori di Rodi decidono di seguire pedissequamente la natura, usando due pitoni, o qualcosa di molto simile a questo serpente africano, probabilmente non sconosciuto alle culture mediterranee. Riflettendo sulla scelta dei tre scultori, mi sono venute in mente le parole del costruttore di mostri per eccellenza, l’inventore della meccatronica applicata al cinema, Carlo Rambaldi, il quale in un libro del 1987 dice:

Se cerchi di andare al di là della natura e realizzare una cosa assolutamente fantastica, sei libero di fare quello che vuoi; ma se devi imitare la natura – e l’abbiamo sperimentato più volte – conviene guardare la natura.

Leonardo Pellizzari (a cura di), Carlo Rambaldi e gli Effetti Speciali, 1987

Si può dire certo che le creste non sarebbe stato possibile renderle in marmo, ed è vero probabilmente, tuttavia sono convinto che i tre di Rodi abbiano seguito il percorso mentale di Rambaldi; traiettoria che anche io, nei miei tentativi di disegno e nei miei sogni ingegneristici, ho preconizzato. Altrimenti detto: la Natura ha sempre più fantasia degli esseri umani. E la investigazione scientifica non ha fatto che confermarmi questa intuizione.

Segue la mia traduzione, in endecasillabi, dei versi di Virgilio menzionati sopra, e in appendice trovate il computo delle sillabe, i versi originali, la parafrasi in latino e la traduzione letterale.

Assegnato al culto del dio Nettuno
Laocoonte un degno toro offriva.
Ma da Tenedo adesso le calme acque
sovrastano immensi due serpenti
che speculari puntano la costa,
i colli eretti tra i flutti, vermiglie
le creste sopra le onde, immensa mole
del corpo si snoda, e sfiora il mare.
Scroscio di schiuma, e sono sulla riva,
gli occhi iniettati di sangue di fuoco,
lingue vibranti e labbra sibilanti.
Fuggiamo, a Laocoonte aspirano,
ma prima i piccoli corpi dei figli
ambedue i serpenti avvolti stringon
e ingoiano i morsi dei miseri arti.
Poi assalgono il padre accorso in aiuto
armato che nelle spire è legato;
e già su di lui torreggiano, stretto
due volte il busto, per due il collo avvinto. 
Mentre tenta di liberare i nodi,
le vesti pregne di bava letale,
grida disumane lancia alle stelle,
qual mugge il toro che l'altare fugge
scuotendo il collo, la malferma scure.

4. L’antidoto

Il Laocoonte, di marmo o di versi, è dunque la rappresentazione della sofferenza senza luce: una famiglia è spazzata via con una agonia inimmaginabile, quella del cervo mangiato vivo dal predatore, con l’aggravante della consapevolezza della morte. E poi c’è un dolore ancora più grande, inconcepito, innominabile forse: quello della moglie e madre.

Laocoonte, che qualche verso prima tentava di avvisare i troiani sulla pericolosità del cavallo di legno (“timeo Danaos et dona ferentes”), è la voce della ragione davanti al destino oscuro dell’uomo, quello di finire nel gorgo e scomparire; i troiani sono la voce della speranza, che rischia di cadere in trappola (lo vediamo nel fiorire della medicina alternativa per le malattie senza cura e nelle promesse di resurrezione dei vari culti). E’ l’islandese di Leopardi, la voce di Tolstoj in “Confessione”. E’ quello che resta, al netto delle religioni orientali che vennero dopo il mondo pagano, come antidoto. Non è un caso che Stefano Benni posizioni una copia di questa statua nella dimora del suo Achille pié veloce. Eppure nella statua stessa, nel monumento alla cognizione del dolore, c’è un antidoto: la creazione superba, la maestria, il talento strabordante, lo studio minuto della Natura. Il Laocoonte è esso stesso l’antidoto al veleno, sia nel marmo che nei versi. Ed è per questo che menziono nel titolo e nel testo il volume di Gadda: la sua Cognizione del Dolore, con la morte del fratello, la vecchiezza della madre vedova poi uccisa, la follia lucida del figlio che forse assassina la madre (forse no, c’è un indizio nel romanzo), è completamente priva di assoluzione, di resurrezione; se non nel virtuosismo linguistico e nell’analisi della natura umana. Sono opere queste che mostrano l’abisso e allo stesso tempo vi costruiscono sopra un ponte.

Figura 3. Baccio Bandinelli, Laocoonte, 1520-1525, Galleria degli Uffizi. Foto di Paolo Maccallini.

La foto che ho usato in Figura 3 non è del Laocoonte di Agesandro, Polidoro e Atenodoro, lo so. Non si tratta di un errore. La statua degli scultori di Rodi la trovate con la ricerca per immagini su Google, amesso che non sia scolpita nella vostra mente. Questo Laocoonte è la copia di Baccio Bandinelli, un artista che fu costretto dalla committenza e dalle circostanze temporali ad affrontare un gigante sul suo stesso terreno di battaglia: dovette competere con Michelangelo nella statuaria monumentale a tutto tondo, e perse tragicamente. La sua copia del Laocoonte è forse la sua statua più riuscita, se si escludono i bassorilievi per i quali aveva probabilmente più talento. Io ho conosciuto Bandinelli grazie a questa statua, che mi trovai un giorno al fondo della prospettiva di un corridoio degli Uffizi, che arrotolavo come un nastro sotto la mia sedia a rotelle, in una foresta di gambe in passeggio aleatorio.

5. Appendice

Di seguito riporto il conteggio delle sillabe per la mia traduzione, tenendo conto delle sinalefe.

assegnatoalcultodeldioNettuno
Laocoontedegnotorooffriva
madaTenedoadessolecalmeacque
sovrastanoimmensidueserpenti
chespecularipuntanolacosta
icollierettitraifluttivermiglie
lecrestesopraleondeimmensamole
delcorposisnodaesfiorailmare
scrosciodischiumaesonosullariva
gliocchiiniettatidisangueedifuoco
linguevibrantielabbrasibilanti
fuggiamoalaocoonteaspirano
maprimaipiccolicorpideifigli
ambedueiserpentiavvoltistringon
eingoianoimorsideimiseriarti
poiassalgonoilpadreaccorsoinaiuto
armatochenellespireèlegato
egiàsudiluitorreggianostretto
duevolteilbustoperdueilcolloavvinto
mentretentadiliberareinodi
levestipregnedibavaletale
gridadisumanelanciaallestelle
qualmuggeiltorochelaltarefugge
scuotendoilcollolamalfermascure

L’intero secondo libro della Eneide in latino si trova qui. In particolare, i versi tradotti sono i seguenti.

Laocoon, ductus Neptuno forte sacerdos,
solemnes taurum ingentem mactabat ad aras. 
Ecce autem gemini a Tenedo tranquilla per alta
(horresco referens) immensis orbibus angues
incumbunt pelago, pariterque ad litora tendunt:
pectora quorum inter fluctus arrecta, iubaeque
sanguineae exsuperant undas: pars cetera pontum
pone legit, sinvatque immensa volumine terga.
Fit sonitus spumante salo: iamque arva tenebant,
ardentesque oculos suffecti sanguine, et igni,
sibila lambebant linguis vibrantibus ora.
Diffugimus visu exsangues: illi agmine certo
Laocoonta petunt, et primum parva duorum
corpora natorum serpens amplexus uterque
implicat, et miseros morsu depascitur artus.
Post ipsum auxilio subeuntem ac tela ferentem
corripiunt spirisque ligant ingentibus; et iam
bis medium amplexi, bis collo squamea circum
terga dati, superant capite et cervicibus altis.
Ille simul manibus tendit divellere nodos
perfusus sanie vittas atroque veneno;
clamores simul horrendos ad sidera tollit,
quales mugitus, fugit cum saucius aras
taurus et incertam excussit cervice securim.
At gemini lapsu delubra ad summa dracones
effugiunt, saevaeque petunt Tritonidis arcem,
sub pedibusque deae, clypeique sub orbe teguntur.

Di seguito le medesime parole, disposte nella costruzione italiana, con una traduzione parola per parola.

Laocoon, ductus sacerdos Neptuno forte, mactabat ingentem taurum ad aras solemnes.
Laocoonte, nominato sacerdote di Nettuno per sorteggio, uccideva un grande toro presso i solenni altari.
Ecce autem a Tenedo per alta tranquilla [aequora] angues gemini (horresco referens) incumbunt pelago immensis orbibus, pariterque tendunt ad litora:
Ma ecco che da Tenedo, attraverso le acque tranquille, due serpenti gemelli (inorridisco nel raccontarlo) sovrastano il mare con le spire immense, e puntano la riva all’unisono:
pectora quorum arrecta [sunt] inter fluctus, iubaeque sanguineae exsuperant undas: pars cetera legit pontum, pone, sinvatque volumine immensa terga [= terga immenso volumine, ipallage].
i petti dei quali sono eretti sui flutti, e le creste vermiglie si innalzano oltre le onde: il resto del corpo sfiora il mare, dietro, e snoda il dorso in immense spire.
Sonitus fit salo spumante: iamque tenebat arva et, oculos ardentes [acc. di rel.] suffecti sanguine et igni, lambebant sibila ora linguis vibrantibus.
Un gorgoglio è generato dalla mare spumeggiante: già avevano raggiunto la costa e, con occhi ardenti iniettati di sangue e fuoco, lambivano le bocche sibilanto con lingue vibranti.
Diffugimus exangues visu: illi petunt Laocoonta, agmine certo, et primum uterque serpens amplexus implicat parva corpora duorum natorum, et depascitur miseros artus morsu.
Scappiamo con visi esangui: essi puntano Laocoonte, con andatura decisa, e prima i due serpenti stringono, avvolti, i piccoli corpi dei due figli, e divorano i miseri arti a morsi.
Post corripiunt ipsum [Laocoonta], auxilio subeuntem ac tela ferentem, et ligant spiris ingentibus;
Quindi assalgono lo stesso Laocoonte, che accorre in soccorso e porta delle armi, e lo avvincono con le ingenti spire;
et iam amplexi bis medium [acc. di rel.], circumdati [timesi] squamea terga [acc. di rel.] bis collo, superant altis capite et cervicibus.
e stretto due volte il busto [di Laocoonte], due volte avvolte intorno al collo le terga squamose, già torreggiano con il collo e il capo.
Ille simul tendit divellere nodos manibus, vittas perfusus [acc. alla greca] sanie et atro veneno; simul tollit horrendos clamores ad sidera:
Lui, con le bende imbevute di bava e veleno nero, tenta di sciogliere i nodi con le mani mentre leva orrende grida al cielo,
quales mugitus taurus [tollit], cum fugitsaucius aras, et excussit incertam securim cervice.
come i muggiti del toro che fugge ferito dall’altare mentre si squote dal collo la scure malferma.
At gemini dracones effugiunt lapsu ad summa delubra, et petunt arcem saevae Tritonidis, et teguntur sub pedibus deae, et sub orbe clypei.
E i draghi gemelli fuggono strisciando verso gli alti santuari, e si dirigono all’altare della ostile Tritonia [Atena], e si nascondono sotto i piedi della dea, sotto il cerchio dello scudo.

Di seguito il codice in Octave che genera Figura 1, risolvendo numericamente (metodo di Runge-Kutta) il sistema di tre equazioni differenziali ordinarie seguente:

Eq. 2) \begin{cases}\frac{dx(s)}{ds}\,=\,\tau_{x}(s)\\\frac{dy(s)}{ds}\,=\,\tau_{y}(s)\\\frac{dz(s)}{ds}\,=\,\tau_{z}(s)\end{cases}

dove \overrightarrow{\tau} è il versore relativo al campo vettoriale in Eq. 1. Il codice funziona qualunque sia il campo vettoriale inserito nella funzione interna allo script (vectorial_field). Ho scritto questo codice nel 2021, come dimostrazione del metodo di ricostruzione delle fibre di materia bianca nella risonanza magnetica cerebrale con trattografia (Maccallini P. 2021).

% file name = tractography
% date of creation = 05/02/2021
% it plots the trajectory of a fibre, given a vectorial field of diffusion
% eigenvector epsilon_1
clear all
close all
% vectorial field
v = [0,0,3];
w = [0,0,3];
ic = [1.5,1.5,0];
delta_s = 0.5;
function v_f = vectorial_field (x,y,z,v,w)
  v_f = v + cross(w,[x,y,z]);
  v_f = v_f/sqrt(v_f(1)^2+v_f(2)^2+v_f(3)^2);
endfunction
% we set the initial conditions for the first fiber
lambda(1:4,1:3)=0.;
x(1) = ic(1);
y(1) = ic(2);
z(1) = ic(3);
% integration for the first fiber
vector = vectorial_field (x(1),y(1),z(1),v,w);
lambda(1,1) = vector(1);
lambda(1,2) = vector(2);
lambda(1,3) = vector(3);
n = 40;
for i=1:n-1
  for k=2:4
    vector = vectorial_field (x(i)+lambda(k,1)*delta_s/2,y(i)+lambda(k,2)*delta_s/2,z(i)+lambda(k,3)*delta_s/2,v,w);
    lambda(k,1) = vector(1);
    lambda(k,2) = vector(2);
    lambda(k,3) = vector(3);
  endfor
  x(i+1) = x(i)+(lambda(1,1)+2*lambda(2,1)+2*lambda(3,1)+lambda(4,1))*delta_s/6;
  y(i+1) = y(i)+(lambda(1,2)+2*lambda(2,2)+2*lambda(3,2)+lambda(4,2))*delta_s/6;
  z(i+1) = z(i)+(lambda(1,3)+2*lambda(2,3)+2*lambda(3,3)+lambda(4,3))*delta_s/6;
  vector = vectorial_field (x(i+1),y(i+1),z(i+1),v,w);
  quiver3 ( x(i+1),y(i+1),z(i+1),vector(1),vector(2),vector(3),'-k' )
  hold on
endfor
plot3 (x(1:n),y(1:n),z(1:n),'-r','LineWidth',4)
pbaspect ([1, 1, 1])
hold on
% we set the initial conditions for the second fiber
ic = [2.8,2.8,0];
x(1) = ic(1);
y(1) = ic(2);
z(1) = ic(3);
% integration for the second fiber
vector = vectorial_field (x(1),y(1),z(1),v,w);
lambda(1,1) = vector(1);
lambda(1,2) = vector(2);
lambda(1,3) = vector(3);
for i=1:n-1
  for k=2:4
    vector = vectorial_field (x(i)+lambda(k,1)*delta_s/2,y(i)+lambda(k,2)*delta_s/2,z(i)+lambda(k,3)*delta_s/2,v,w);
    lambda(k,1) = vector(1);
    lambda(k,2) = vector(2);
    lambda(k,3) = vector(3);
  endfor
  x(i+1) = x(i)+(lambda(1,1)+2*lambda(2,1)+2*lambda(3,1)+lambda(4,1))*delta_s/6;
  y(i+1) = y(i)+(lambda(1,2)+2*lambda(2,2)+2*lambda(3,2)+lambda(4,2))*delta_s/6;
  z(i+1) = z(i)+(lambda(1,3)+2*lambda(2,3)+2*lambda(3,3)+lambda(4,3))*delta_s/6;
  vector = vectorial_field (x(i+1),y(i+1),z(i+1),v,w);
  quiver3 ( x(i+1),y(i+1),z(i+1),vector(1),vector(2),vector(3),'-k' )
  hold on
endfor
plot3 (x(1:n),y(1:n),z(1:n),'-b','LineWidth',4)
pbaspect ([1, 1, 1])
grid on

I versi degli antichi

I versi degli antichi

Catullo ha scritto quasi 21 secoli fa ma è contemporaneo, sia per il linguaggio che per il contenuto. Solo la lingua è antica; ma sopravvissuta plus uno perenne saeclo, se si pensa che ancora all’inizio del Novecento il latino si usava per gli articoli scientifici (R) e Newton usò il latino per scrivere quella che è (e forse rimarrà per sempre) la singola opera scientifica più importante in assoluto, i Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (1687). Non dico nulla di nuovo, lo so; ma può darsi che, se tornerete a Catullo dopo una vita, scoprirete davvero questa banalità per la prima volta, come è successo a me. Catullo ha detto già tanto, forse tutto, sull’amore, l’amicizia, e il dolore. E quello che manca non ha potuto dirlo solo perché quella notte che est perpetua una dormienda, per lui è arrivata troppo presto, negandogli le esperienze della maturità e della vecchiezza. Ma in fondo, si dice, i poeti (come i matematici) non possono sopravvivere alla giovinezza, se non a costo di cambiare mestiere.

I carmi di Catullo sono come i vecchi codici di integrazione numerica in FORTRAN: un paradigma che si ripete in ogni linguaggio, mai più universale però come la prima volta. Scritti una volta per tutte, destinati ad essere copiati per sempre: in Python, Matlab, Julia, Octave, R, e tutti i compilatori che verranno.

Qui propongo la traduzione di due carmi, tra i più famosi (come se ce ne fosse bisogno): il carme CI l’ho reso in endecasillabi, il carme VIII con versi composti, forzati dalle interrogative finali, che non sembrano ammettere una riduzione. Una traduzione è sempre opera del traduttore, non sarà mai fedele: la speranza di rendere i suoni, le allitterazioni, e il ritmo è talmente vana da essere folle. E poi la grafia, anche quella forse conta: le V con la loro simmetrica decisione, le P al vento, le morbide B. Tutto significa qualcosa e non tutto è traducibile. Catullo poi sembra davvero non avere bisogno di essere attualizzato: è un uomo come noi. Per cui questo è soprattutto un invito a rileggere l’originale.   

Con la speranza, nel tempo, di aggiungere altre traduzioni, anche di altri autori.     

(Foto: affresco della Villa dei Misteri, Pompei, prima del 23 d.C.)

Catulli veronensis carmina, CI (3 agosto 2022)

Per distese di acque, di gente in gente
giungo qui al tuo mesto funerale
per onorarti con l'ultimo dono
e parlare alla tua cenere muta,
fratello che la sorte mi ha già tolto,
strappato, ahimè, così crudelmente. 
Accetta doni funebri almeno,
secondo la tradizione dei padri,
bagnati del pianto mio fraterno.
Ti saluto, ora e per sempre addio.   

Per il testo originale e la lettura metrica si veda qui.
Catulli veronensis carmina, VIII (luglio 2022)

Povero Catullo, dalla follia desisti,
e ora accetta che ciò che è perduto è perso.
Giorni luminosi brillarono un tempo,
quando ti affannavi dietro i capricci
dell'amata come amata nessuna mai,
si consumavano gli infiniti giochi
d'amore che bramavi e lei non negava.
Davvero brillarono giorni luminosi.
Ma lei ora non vuole più e tu fa' altrettanto,
non rincorrerla, affràncati dalla miseria,
ma sopporta con animo ostinato, resisti.
Addio, ragazza, ti resisterà Catullo,
non ti cercherà più, non ti vorrà se non vuoi:
ma soffrirai quando non sarai più voluta.
Maledetta! Dove ti porta ora la vita?
Chi verrà ora a trovarti? Per chi sarai bella?
Chi amerai ora? Di chi sarai per il mondo?
Chi bacerai? A chi morderai le labbra?
Ma tu Catullo ostinatamente persisti.  

Il verso 5 (amata nobis quam amabitur nulla) lo si ritrova quasi identico nel carme XXXVII, verso 12 (amata tantum quam amabitur nulla). Eppure tanto il carme VIII scorre su una nota di delicata sensibilità, quanto il 37 esprime una violenta, sconcertante, volgarità (si veda qui per una traduzione del XXXVII).

Per il testo originale e la lettura metrica si veda qui.
Catulli veronensis carmina, I (agosto 2022)

A chi dedico il nuovo libello,
gioiello emendato d'ogni difetto?
A te che eri solito, Cornelio,
lodare queste mie cose da nulla,
da quando solo sulla Penisola
di tutto il Tempo ti cimentavi
in tre volumi ponderosi e dotti,
per Giove, a raccontare ricordi.
Accetta pertanto questo libello,
per ciò che vale e che sopravvivere,
Signora fanciulla, possa per sempre.

Per il testo originale e la lettura metrica si veda qui.
Aeneis, Liber II, v 201-224 (Agosto 2022)

Assegnato al culto del dio Nettuno
Laocoonte un degno toro offriva.
Ma da Tenedo adesso le calme acque
sovrastano immensi due serpenti
che speculari puntano la costa,
i colli eretti tra i flutti, vermiglie
le creste sopra le onde, immensa mole
del corpo si snoda, e sfiora il mare.
Scroscio di schiuma, e sono sulla riva,
gli occhi iniettati di sangue di fuoco,
lingue vibranti e labbra sibilanti.
Fuggiamo, a Laocoonte aspirano,
ma prima i piccoli corpi dei figli
ambedue i serpenti avvolti stringon
e ingoiano i morsi dei miseri arti.
Poi assalgono il padre accorso in aiuto
armato che nelle spire è legato;
e già su di lui torreggiano, stretto
due volte il busto, per due il collo avvinto. 
Mentre tenta di liberare i nodi,
le vesti pregne di bava letale,
grida disumane lancia alle stelle,
qual mugge il toro che l'altare fugge
scuotendo il collo, la malferma scure.

Reso in edencasillabi. Di seguito riporto il conteggio delle sillabe, tenendo conto delle sinalefe.

assegnatoalcultodeldioNettuno
Laocoontedegnotorooffriva
madaTenedoadessolecalmeacque
sovrastanoimmensidueserpenti
chespecularipuntanolacosta
icollierettitraifluttivermiglie
lecrestesopraleondeimmensamole
delcorposisnodaesfiorailmare
scrosciodischiumaesonosullariva
gliocchiiniettatidisangueedifuoco
linguevibrantielabbrasibilanti
fuggiamoalaocoonteaspirano
maprimaipiccolicorpideifigli
ambedueiserpentiavvoltistringon
eingoianoiorsideimiseriarti
poiassalgonoilpadreaccorsoinaiuto
armatochenellespireèlegato
egiàsudiluitorreggianostretto
duevolteilbustoperdueilcolloavvinto
mentretentadiliberareinodi
levestipregnedibavaletale
gridadisumanelanciaallestelle
qualmuggeiltorochelaltarefugge
scuotendoilcollolaalfermascure

L’intero secondo libro della Eneide in latino si trova qui. In particolare, i versi tradotti sono i seguenti.

Laocoon, ductus Neptuno forte sacerdos,
solemnes taurum ingentem mactabat ad aras. 
Ecce autem gemini a Tenedo tranquilla per alta
(horresco referens) immensis orbibus angues
incumbunt pelago, pariterque ad litora tendunt:
pectora quorum inter fluctus arrecta, iubaeque
sanguineae exsuperant undas: pars cetera pontum
pone legit, sinvatque immensa volumine terga.
Fit sonitus spumante salo: iamque arva tenebant,
ardentesque oculos suffecti sanguine, et igni,
sibila lambebant linguis vibrantibus ora.
Diffugimus visu exsangues: illi agmine certo
Laocoonta petunt, et primum parva duorum
corpora natorum serpens amplexus uterque
implicat, et miseros morsu depascitur artus.
Post ipsum auxilio subeuntem ac tela ferentem
corripiunt spirisque ligant ingentibus; et iam
bis medium amplexi, bis collo squamea circum
terga dati, superant capite et cervicibus altis.
Ille simul manibus tendit divellere nodos
perfusus sanie vittas atroque veneno;
clamores simul horrendos ad sidera tollit,
quales mugitus, fugit cum saucius aras
taurus et incertam excussit cervice securim.
At gemini lapsu delubra ad summa dracones
effugiunt, saevaeque petunt Tritonidis arcem,
sub pedibusque deae, clypeique sub orbe teguntur.

Di seguito le medesime parole, disposte nella costruzione italiana, con una traduzione parola per parola.

Laocoon, ductus sacerdos Neptuno forte, mactabat ingentem taurum ad aras solemnes.
Laocoonte, nominato sacerdote di Nettuno per sorteggio, uccideva un grande toro presso i solenni altari.
Ecce autem a Tenedo per alta tranquilla [aequora] angues gemini (horresco referens) incumbunt pelago immensis orbibus, pariterque tendunt ad litora:
Ma ecco che da Tenedo, attraverso le acque tranquille, due serpenti gemelli (inorridisco nel raccontarlo) sovrastano il mare con le spire immense, e puntano la riva all’unisono:
pectora quorum arrecta [sunt] inter fluctus, iubaeque sanguineae exsuperant undas: pars cetera legit pontum, pone, sinvatque volumine immensa terga [= terga immenso volumine, ipallage].
i petti dei quali sono eretti sui flutti, e le creste vermiglie si innalzano oltre le onde: il resto del corpo sfiora il mare, dietro, e snoda il dorso in immense spire.
Sonitus fit salo spumante: iamque tenebat arva et, oculos ardentes [acc. di rel.] suffecti sanguine et igni, lambebant sibila ora linguis vibrantibus.
Un gorgoglio è generato dalla mare spumeggiante: già avevano raggiunto la costa e, con occhi ardenti iniettati di sangue e fuoco, lambivano le bocche sibilanto con lingue vibranti.
Diffugimus exangues visu: illi petunt Laocoonta, agmine certo, et primum uterque serpens amplexus implicat parva corpora duorum natorum, et depascitur miseros artus morsu.
Scappiamo con visi esangui: essi puntano Laocoonte, con andatura decisa, e prima i due serpenti stringono, avvolti, i piccoli corpi dei due figli, e divorano i miseri arti a morsi.
Post corripiunt ipsum [Laocoonta], auxilio subeuntem ac tela ferentem, et ligant spiris ingentibus;
Quindi assalgono lo stesso Laocoonte, che accorre in soccorso e porta delle armi, e lo avvincono con le ingenti spire;
et iam amplexi bis medium [acc. di rel.], circumdati [timesi] squamea terga [acc. di rel.] bis collo, superant altis capite et cervicibus.
e stretto due volte il busto [di Laocoonte], due volte avvolte intorno al collo le terga squamose, già torreggiano con il collo e il capo.
Ille simul tendit divellere nodos manibus, vittas perfusus [acc. alla greca] sanie et atro veneno; simul tollit horrendos clamores ad sidera:
Lui, con le bende imbevute di bava e veleno nero, tenta di sciogliere i nodi con le mani mentre leva orrende grida al cielo,
quales mugitus taurus [tollit], cum fugit saucius aras, et excussit incertam securim cervice.
come i muggiti del toro che fugge ferito dall’altare mentre si squote dal collo la scure malferma.
At gemini dracones effugiunt lapsu ad summa delubra, et petunt arcem saevae Tritonidis, et teguntur sub pedibus deae, et sub orbe clypei.
E i draghi gemelli fuggono strisciando verso gli alti santuari, e si dirigono all’altare della ostile Tritonia [Atena], e si nascondono sotto i piedi della dea, sotto il cerchio dello scudo.
Aeneis, Liber IV, v 607-621 (Gennaio 2023)

Sole, tu che illumini i giorni umani,
Giunone, che sai del mio dolore,
Ecate, che tormenti i sonni urbani.

E voi Dire e dèi d'Elissa che muore,
se sventura benevolenza vale,
ascoltatemi. Poiché l'impostore

le ancore getterà al litorale
e questo Giove comanda che accada,
almeno che un nemico eccezionale

incontri, solitario esule vada,
implori aiuto, e veda le morti
amare dei suoi e la vita non goda  

e il trono e il regno a pace iniqua porti.
Ma cada anzitempo e senza sepolcro.
Ciò chiedo col sangue per le sue sorti.

Terzine con rime ABA, BCB, …. Di seguito riporto il conteggio delle sillabe, tenendo conto delle sinalefe.

Soletucheilluminiigiorniumani
Giunonechesaidelmiodolore
Ecatechetormentiisonniurbani
evoiDiraeedéid’Elissachemuore
sesventurabenevolenzavale
ascoltatemipoichél’impostore
leancoregetteallitorale
equestoGiovecomandacheaccada
almenocheunnemicoeccezzionale
incontrisolitarioesulevada
imploriaiutoevedalemorti
amaredeisuoielavitanongoda
eiltronoeilregnoapaceiniquaporti
Macadaanzitempoesenzasepolcro.
Ciòchiedocolsangueperlesuesorti
L'intero quarto libro della Eneide in latino si trova qui. In particolare, i versi tradotti sono i seguenti.

Sol, qui terrarum flammis opera omnia lustras;
tuque harum interpres curarum et conscia, Iuno,
nocturnisque Hecate triviis ululata per urbes,
et Dirae ultrices, et di morientis Elisae,
accipite haec: meritumque malis advertite numen,
et nostras audite preces. Si tangere portus
infandum caput, ac terris adnare necessest:
et si fata Iovis poscunt; hic terminus haeret:
at bello audacis populi vexatus, et armis,
finibus extorris, complexu avulsus Iuli,
auxilium imploret, videatque indigna suorum
funera: nec, cum se sub leges pacis iniquae
tradiderit, regno aut optata luce fruatur:
sed cadat ante diem mediaque inhumatus arena.
Haec precor, hanc vocem extremam cum sanguine fundo. 

Di seguito le medesime parole, disposte nella costruzione italiana, con una traduzione parola per parola.

Sol, qui flammis opera omnia terrarum lustras;
Sole, che illumini con il fuoco tutte le attività della Terra;
et tu, Iuno, interpres et conscia harum curarum,
e tu, Giunone, intermediaria e complice di questi affanni
et Hecate ululata nocturnis triviis per urbes,
e Ecate, invocata con ululati nei trivi di notte, per le città,
et Dirae ultrices, et di morientis Elisae,
e Dirae vendici, e dèi di Elissa che muore
accipite haec: et advertite malis meritum numen, et nostras audite preces.
accettate queste [parole] e rivolgete alle sventure la meritata benevolenza, e ascoltate le mie preghiere.
Si necessest infandum caput tangere portus ac terris adnare et si fata Iovis poscunt
Se è inevitabile che lo scellerato debba toccare il porto e raggiungere la terra e questo stabilisce il volere di Giove,
hic terminus haeret: at vexatus bello et armis audacis populi,
che così sia: almeno sia vessato dalla opposizione armata di un popolo audace,
finibus extorris, avulsus complexu Iuli, auxilium imploret,
sia bandito dal territorio, lontano dall’abbraccio di Iulio, implori aiuto,
videatque indigna suorum funera: nec, cum se tradiderit sub leges iniquae pacis, regno aut optata luce fruatur:
assista alla morte indegna dei suoi, né – sottopostosi a un patto iniquo di pace – goda il regno e la dolce vita:
sed cadat ante diem et inhumatus media arena.
ma cada anzi tempo e resti senza sepoltura sulla spiaggia.
Haec precor, hanc vocem extremam cum sanguine fundo.
Di questo vi supplico; queste ultime parole pronuncio col sangue.
Catulli veronensis carmina, V (Buenos Aires, 11 febrero 2023)

Lasciati amare, Lesbia, e vivere
e i commenti dei vecchi, invidiosi
valgano le monete più misere.

Giorni seguono giorni luminosi
ma esaurito il nostro breve momento
per sempre dormiremo silenziosi.

Dammi mille baci, e poi altri cento,
dammene ancora mille e cento ancora,
poi mille e più sulle labbra un accento.

E se su migliaia sorge l'aurora
ne confondiamo il numero perché
non è malevolo chi gioia ignora, 
chi non sa quanti baci, tra te e me.  

Per il testo originale e la lettura metrica si veda qui.