Sole, tu che illumini i giorni umani,
Giunone, che sai del mio dolore,
Ecate, che tormenti i sonni urbani.
E voi Dire e dèi d'Elissa che muore,
se sventura benevolenza vale,
ascoltatemi. Poiché l'impostore
le ancore getterà al litorale
e questo Giove comanda che accada,
almeno che un nemico eccezionale
incontri, solitario esule vada,
implori aiuto, e veda le morti
amare dei suoi e la vita non goda
e il trono e il regno a pace iniqua porti.
Ma cada anzitempo e senza sepolcro.
Ciò chiedo con il sangue, per le sue sorti.
Terzine con rime ABA, BCB, …. Di seguito il conteggio delle sillabe, tenendo conto delle sinalefe.
So
le
tu
cheil
lu
mi
nii
gior
niu
ma
ni
Giu
no
ne
che
sai
del
mi
o
do
lo
re
E
ca
te
che
tor
men
tii
son
niur
ba
ni
e
voi
Di
ree
déi
d’E
lis
sa
che
muo
re
se
sven
tu
ra
be
ne
vo
len
za
va
le
as
col
ta
te
mi
poi
ché
l’im
pos
to
re
lean
co
re
get
te
rà
al
li
to
ra
le
e
ques
to
Gio
ve
co
man
da
cheac
ca
da
al
me
no
cheun
ne
mi
coec
cez
zio
na
le
in
con
tri
so
li
ta
rioe
su
le
va
da
im
plo
ria
iu
to
e
ve
da
le
mor
ti
a
ma
re
dei
suoie
la
vi
ta
non
go
da
eil
tro
noeil
re
gnoa
pa
cei
ni
qua
por
ti
Ma
ca
daan
zi
tem
poe
sen
za
se
pol
cro.
Ciò
chie
do
col
san
gue
per
le
sue
sor
ti
L'intero quarto libro della Eneide in latino si trova qui. In particolare, i versi tradotti sono i seguenti.
Sol, qui terrarum flammis opera omnia lustras;
tuque harum interpres curarum et conscia, Iuno,
nocturnisque Hecate triviis ululata per urbes,
et Dirae ultrices, et di morientis Elisae,
accipite haec: meritumque malis advertite numen,
et nostras audite preces. Si tangere portus
infandum caput, ac terris adnare necessest:
et si fata Iovis poscunt; hic terminus haeret:
at bello audacis populi vexatus, et armis,
finibus extorris, complexu avulsus Iuli,
auxilium imploret, videatque indigna suorum
funera: nec, cum se sub leges pacis iniquae
tradiderit, regno aut optata luce fruatur:
sed cadat ante diem mediaque inhumatus arena.
Haec precor, hanc vocem extremam cum sanguine fundo.
Di seguito le medesime parole, disposte nella costruzione italiana, con una traduzione parola per parola.
Sol, qui flammis opera omnia terrarum lustras;
Sole, che illumini con il fuoco tutte le attività della Terra;
et tu, Iuno, interpreset consciaharum curarum,
e tu, Giunone, intermediaria e complice di questi affanni
et Hecate ululata nocturnistriviis per urbes,
e Ecate, invocata con ululati nei trivi di notte, per le città,
et Dirae ultrices, et di morientis Elisae,
e Dirae vendici, e dèi di Elissa che muore
accipite haec: et advertite malis meritumnumen, et nostras audite preces.
accettate queste [parole] e rivolgete alle sventure la meritata benevolenza, e ascoltate le mie preghiere.
Si necessestinfandum caput tangere portusac terris adnareet si fata Iovis poscunt
Se è inevitabile che lo scellerato debba toccare il porto e raggiungere la terra e questo stabilisce il volere di Giove,
hic terminus haeret: at vexatus bello et armisaudacis populi,
che così sia: ma almeno sia vessato dalla opposizione armata di un popolo audace,
finibus extorris, avulsus complexu Iuli, auxilium imploret,
sia bandito dal territorio, lontano dall’abbraccio di Iulio, implori aiuto,
videatque indigna suorum funera: nec, cum se tradideritsub leges iniquae pacis, regno aut optata luce fruatur:
assista alla morte indegna dei suoi, né – sottopostosi a un patto iniquo di pace – goda il regno e la dolce vita:
sed cadat ante diem et inhumatus media arena.
ma cada anzi tempo e resti senza sepoltura sulla spiaggia.
Haec precor, hanc vocem extremam cum sanguine fundo.
Di questo vi supplico; queste ultime parole pronuncio col sangue.
La foto di copertina è un fotogramma dello sceneggiato “Eneide”, diretto da Franco Rossi (1971). Rappresenta Didone, interpretata da Olga Karlatos.
Cosa pensò Michelangelo, in quel giorno di gennaio del 1506, davanti al gruppo del Laocoonte, appena dissotterrato da un campo, sul Colle Oppio? Michelangelo aveva quasi 31 anni: siamo dopo il Bacco, la Pietà e il David; prima della Cappella Sistina, e delle statue originariamente intese per la tomba di Giulio Secondo, e di quelle destinate alle tombe medicee. Per Michelangelo il Laocoonte della seconda metà del primo secolo a.C. dovette rappresentare una visione del proprio futuro, più che un cimelio di un lontanissimo passato.
Il rinvenimento del superbo capolavoro di Hagesander et Polydorus et Athenodorus rhodii, originariamente collocato in Titi imperatoris domo, secondo Plinio il Vecchio (Nat. Hist. XXXVI, 37, Ref), viene ricostruito da Irving Stone, nel suo The Agony and the Ecstasy:
Francesco Sangallo broke into the room, crying, “Father! They’ve unearthed a big marble statue in the old palace of Emperor Titus. His Holiness wants you to go at once and supervise excavating it.”A crowd had already gathered in the vineyard behind Santa Maria Maggiore. In a hollow, the bottom half still submerged, gleamed a magnificent bearded head and a torso of tremendous power. Through one arm, and turning around the opposite shoulder, was a serpent; on either side emerged the heads, arms and shoulders of two youths, encircled by the same serpent. Michelangelo’s mind flashed back to his first night in Lorenzo’s studiolo. “It is the Laocoön,” Sangallo cried. “Of which Pliny wrote!” added Michelangelo.
Irving Stone, The Agony and the Ecstasy, Book VII
La fonte qui è una memoria dell’infanzia del Francesco da Sangallo menzionato, figlio di Giuliano, architetto quest’ultimo che a Roma faceva parte, insieme a Michelangelo, di un circolo di artisti fiorentini attratti dalle commissioni papali. E a proprosito della biografia michelangiolesca di Irving Stone: l’autore non è uno storico dell’arte, non è un artista figurativo, non conosce l’italiano e poté usare solo le traduzioni delle fonti (quando disponibili); e non si può dire che sia un Tolstoj. Eppure il suo romanzo del 1961 (all’epoca molto popolare e tradotto anche in un bel film) è un piacevole catalogo delle opere di Michelangelo, contestualizzate, e di molte delle notizie biografiche disponibili all’epoca della stesura.
Non sappiamo cosa deve aver pensato Michelangelo, dicevo. Se davvero il suo San Matteo aveva già l’impostazione definitiva quando lo scultore lo lasciò a Firenze per partire alla volta di Roma nel 1505, egli dovette trovarsi davanti ad una versione compiuta ed estremamente evoluta della sua visione; se invece il San Matteo fu ritoccato in seguito, allora Agesandro, Polidoro e Atenodoro erano con lui, nel suo studio, mentre lavorava sul santo. Quale che sia la cronologia del San Matteo, in ogni caso l’impatto dei tre scultori di Rodi, morti e decoposti da 15 secoli, deve essere stato significativo su Michelangelo, che di certo ha presente il busto del Laocoonte mentre tenta di liberare dal “soverchio” del marmo lo schiavo morente e lo schiavo ribelle (1513).
2. Torsione nell’arte e nella natura
Ma saremmo ingiusti se concludessimo che la successione degli avvitamenti inseguiti da Michelangelo dopo il gennaio del 1506 sia completamente condizionata dal Laocoonte: basta guardare la battaglia dei centauri che Michelangelo scolpisce da adolescente, dove si trova un inventario di tutte le forme che svilupperà nella sua vita, per accorgersi che semplicemente il fiorentino era arrivato alla medesima conclusione dei colleghi di Rodi, indipendentemente; in un’altra vita, in un altro mondo. E a proprosito, una riflessione veloce sulla torsione che ricorre nell’arte. La sintesi della torsione è l’elica, curva che la Natura usa di frequente: si pensi alla elica alpha delle proteine, alla doppia elica del DNA, alla parete cellulare delle spirochete, alla struttura del collagene, ai gusci dei Gastropoda; l’elica e la sua proiezione sul piano ortogonale all’asse, la spirale, ricorre dicevo nell’arte: si trova in Michelangelo, in Giambologna (vedi il ratto della Sabina), in Van Gogh, nelle colonne tortili del Barocco, in alcune statue ellenistiche, nelle scale (vedi la scala di Pierluigi Nervi per lo stadio di Firenze), persino nei campanili (vedi Sant’Ivo alla Sapienza), solo per fare qualche esempio; e conferisce una idea di moto a oggetti che sono fermi. La cosa interessante è che il campo delle velocità di un qualunque corpo rigido congelato in un fotogramma del suo moto è proprio un campo elicoidale. Infatti, la velocità del generico punto P del solido, in un dato istante t, è descritta dalla equazione vettoriale
Eq. 1)
dove O è un altro punto del corpo (o dello spazio solidale ad esso) e dove è la velocità angolare (vedi qui, cap IV). Ora, se si prende la curva per P la cui tangenete è e la si prolunga in modo che sia tangente in ogni suo punto al valore del campo delle velocità in quello stesso punto, si ottiene una elica, comunque si scelga P (Figura 1). L’elica cioè descrive proprio la matrice matematica del moto dei corpi nello spazio, oltre ad essere, come visto, una costante nelle forme naturali, microscopiche, nanoscopiche, e macroscopiche. E sebbene queste nozioni di cinematica siano posteriori ai Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (1687), gli artisti hanno sempre usato l’elica esattamente per suggerire una idea di moto, senza contare il fatto che l’elica sembra anche inscrivere in sé ulteriori connotazioni emotive e significati. L’elica, che non ha piani di simmetria (sebbene abbia punti di simmetria), è stata usata per animare le forme simmetrche, a un certo punto della storia dell’arte, essendo la simmetria forse il criterio di bellezza originario, quello a cui allude il poeta-pittore William Blake: “What immortal hand or eye could frame thy fearful simmetry?” (The Tyger, 1794).
Figura 1. Due curve tangenti, punto per punto, al medesimo campo vettoriale elicoidale. Il codice che genera questa figura è in appendice (risolve numericamente un sistema di tre equazioni differenziali). Sono indicati anche i versori del campo elicoidale per alcuni dei punti delle curve.
Io stesso tendo ad usare la torsione nelle mie composizioni: in Figura 2, il personaggio di spalle ha la testa che punta verso destra, mentre i suoi piedi si intuisce puntino a sinistra; dunque attraverso la sua lunghezza si realizza una rotazione del piano coronale (o frontale) di quasi 90°.
Figura 2. “You can’t win”, matita su carta, di Paolo Maccallini. Il disegno è ancora incompleto.
3. Creatori di mostri
Il Laocoonte dunque nasce una seconda volta nel 1506. Ma cosa si può dire della sua vera nascita? Tralasciando il dibattito sulla presunta presenza di un originale in bronzo più antico di un secolo, siamo davanti all’intrigante questione del rapporto tra la statua e i versi 201-224 del secondo libro della Eneide, che seguono la medesima narrazione. Virgilio scrisse l’Eneide tra il 29 e il 19 a.C.; il gruppo marmoreo fu prodotto tra il 40 e il 20 dello stesso secolo. Chi ha ispirato chi? Immagino che questa sia una domanda formulata più volte da menti ben più preparate della mia in questo genere di esercizi; io osservo solo che mentre Virgilio preferisce dei mostri (li chiama angues, serpens, dracones) che non hanno una corrispondenza con la zoologia nota (dimensioni a parte, sono serpenti con creste vermiglie: iubaeque sanguineae exsuperant undas), gli autori di Rodi decidono di seguire pedissequamente la natura, usando due pitoni, o qualcosa di molto simile a questo serpente africano, probabilmente non sconosciuto alle culture mediterranee. Riflettendo sulla scelta dei tre scultori, mi sono venute in mente le parole del costruttore di mostri per eccellenza, l’inventore della meccatronica applicata al cinema, Carlo Rambaldi, il quale in un libro del 1987 dice:
Se cerchi di andare al di là della natura e realizzare una cosa assolutamente fantastica, sei libero di fare quello che vuoi; ma se devi imitare la natura – e l’abbiamo sperimentato più volte – conviene guardare la natura.
Leonardo Pellizzari (a cura di), Carlo Rambaldi e gli Effetti Speciali, 1987
Si può dire certo che le creste non sarebbe stato possibile renderle in marmo, ed è vero probabilmente, tuttavia sono convinto che i tre di Rodi abbiano seguito il percorso mentale di Rambaldi; traiettoria che anche io, nei miei tentativi di disegno e nei miei sogni ingegneristici, ho preconizzato. Altrimenti detto: la Natura ha sempre più fantasia degli esseri umani. E la investigazione scientifica non ha fatto che confermarmi questa intuizione.
Segue la mia traduzione, in endecasillabi, dei versi di Virgilio menzionati sopra, e in appendice trovate il computo delle sillabe, i versi originali, la parafrasi in latino e la traduzione letterale.
Assegnato al culto del dio Nettuno
Laocoonte un degno toro offriva.
Ma da Tenedo adesso le calme acque
sovrastano immensi due serpenti
che speculari puntano la costa,
i colli eretti tra i flutti, vermiglie
le creste sopra le onde, immensa mole
del corpo si snoda, e sfiora il mare.
Scroscio di schiuma, e sono sulla riva,
gli occhi iniettati di sangue di fuoco,
lingue vibranti e labbra sibilanti.
Fuggiamo, a Laocoonte aspirano,
ma prima i piccoli corpi dei figli
ambedue i serpenti avvolti stringon
e ingoiano i morsi dei miseri arti.
Poi assalgono il padre accorso in aiuto
armato che nelle spire è legato;
e già su di lui torreggiano, stretto
due volte il busto, per due il collo avvinto.
Mentre tenta di liberare i nodi,
le vesti pregne di bava letale,
grida disumane lancia alle stelle,
qual mugge il toro che l'altare fugge
scuotendo il collo, la malferma scure.
4. L’antidoto
Il Laocoonte, di marmo o di versi, è dunque la rappresentazione della sofferenza senza luce: una famiglia è spazzata via con una agonia inimmaginabile, quella del cervo mangiato vivo dal predatore, con l’aggravante della consapevolezza della morte. E poi c’è un dolore ancora più grande, inconcepito, innominabile forse: quello della moglie e madre.
Laocoonte, che qualche verso prima tentava di avvisare i troiani sulla pericolosità del cavallo di legno (“timeo Danaos et dona ferentes”), è la voce della ragione davanti al destino oscuro dell’uomo, quello di finire nel gorgo e scomparire; i troiani sono la voce della speranza, che rischia di cadere in trappola (lo vediamo nel fiorire della medicina alternativa per le malattie senza cura e nelle promesse di resurrezione dei vari culti). E’ l’islandese di Leopardi, la voce di Tolstoj in “Confessione”. E’ quello che resta, al netto delle religioni orientali che vennero dopo il mondo pagano, come antidoto. Non è un caso che Stefano Benni posizioni una copia di questa statua nella dimora del suo Achille pié veloce. Eppure nella statua stessa, nel monumento alla cognizione del dolore, c’è un antidoto: la creazione superba, la maestria, il talento strabordante, lo studio minuto della Natura. Il Laocoonte è esso stesso l’antidoto al veleno, sia nel marmo che nei versi. Ed è per questo che menziono nel titolo e nel testo il volume di Gadda: la sua Cognizione del Dolore, con la morte del fratello, la vecchiezza della madre vedova poi uccisa, la follia lucida del figlio che forse assassina la madre (forse no, c’è un indizio nel romanzo), è completamente priva di assoluzione, di resurrezione; se non nel virtuosismo linguistico e nell’analisi della natura umana. Sono opere queste che mostrano l’abisso e allo stesso tempo vi costruiscono sopra un ponte.
Figura 3. Baccio Bandinelli, Laocoonte, 1520-1525, Galleria degli Uffizi.Foto di Paolo Maccallini.
La foto che ho usato in Figura 3 non è del Laocoonte di Agesandro, Polidoro e Atenodoro, lo so. Non si tratta di un errore. La statua degli scultori di Rodi la trovate con la ricerca per immagini su Google, amesso che non sia scolpita nella vostra mente. Questo Laocoonte è la copia di Baccio Bandinelli, un artista che fu costretto dalla committenza e dalle circostanze temporali ad affrontare un gigante sul suo stesso terreno di battaglia: dovette competere con Michelangelo nella statuaria monumentale a tutto tondo, e perse tragicamente. La sua copia del Laocoonte è forse la sua statua più riuscita, se si escludono i bassorilievi per i quali aveva probabilmente più talento. Io ho conosciuto Bandinelli grazie a questa statua, che mi trovai un giorno al fondo della prospettiva di un corridoio degli Uffizi, che arrotolavo come un nastro sotto la mia sedia a rotelle, in una foresta di gambe in passeggio aleatorio.
5.Appendice
Di seguito riporto il conteggio delle sillabe per la mia traduzione, tenendo conto delle sinalefe.
as
se
gna
toal
cul
to
del
dio
Net
tu
no
La
o
co
on
te
de
gno
to
roof
fri
va
ma
da
Te
ne
doa
des
so
le
cal
meac
que
so
vra
sta
noim
men
si
du
e
ser
pen
ti
che
spe
cu
la
ri
pun
ta
no
la
cos
ta
i
col
lie
ret
ti
trai
flut
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ver
mi
glie
le
cre
ste
so
pra
leon
deim
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sa
mo
le
del
cor
po
si
sno
dae
sfio
ra
il
ma
re
scro
scio
di
schiu
mae
so
no
sul
la
ri
va
glioc
chii
niet
ta
ti
di
san
guee
di
fuo
co
lin
gue
vi
bran
tie
lab
bra
si
bi
lan
ti
fug
gia
moa
la
o
co
on
tea
spi
ra
no
ma
pri
mai
pic
co
li
cor
pi
dei
fi
gli
am
be
du
ei
ser
pen
tiav
vol
ti
strin
gon
ein
go
ia
noi
mor
si
dei
mi
se
riar
ti
poias
sal
go
noil
pa
dreac
cor
soin
a
iu
to
ar
ma
to
che
nel
le
spi
reè
le
ga
to
e
già
su
di
lui
tor
reg
gia
no
stret
to
due
vol
teil
bu
sto
per
dueil
col
loav
vin
to
men
tre
ten
ta
di
li
be
ra
rei
no
di
le
ves
ti
pre
gne
di
ba
va
le
ta
le
gri
da
di
su
ma
ne
lan
ciaal
le
stel
le
qual
mug
geil
to
ro
che
lal
ta
re
fug
ge
scuo
ten
doil
col
lo
la
mal
fer
ma
scu
re
L’intero secondo libro della Eneide in latino si trova qui. In particolare, i versi tradotti sono i seguenti.
Laocoon, ductus Neptuno forte sacerdos,
solemnes taurum ingentem mactabat ad aras.
Ecce autem gemini a Tenedo tranquilla per alta
(horresco referens) immensis orbibus angues
incumbunt pelago, pariterque ad litora tendunt:
pectora quorum inter fluctus arrecta, iubaeque
sanguineae exsuperant undas: pars cetera pontum
pone legit, sinvatque immensa volumine terga.
Fit sonitus spumante salo: iamque arva tenebant,
ardentesque oculos suffecti sanguine, et igni,
sibila lambebant linguis vibrantibus ora.
Diffugimus visu exsangues: illi agmine certo
Laocoonta petunt, et primum parva duorum
corpora natorum serpens amplexus uterque
implicat, et miseros morsu depascitur artus.
Post ipsum auxilio subeuntem ac tela ferentem
corripiunt spirisque ligant ingentibus; et iam
bis medium amplexi, bis collo squamea circum
terga dati, superant capite et cervicibus altis.
Ille simul manibus tendit divellere nodos
perfusus sanie vittas atroque veneno;
clamores simul horrendos ad sidera tollit,
quales mugitus, fugit cum saucius aras
taurus et incertam excussit cervice securim.
At gemini lapsu delubra ad summa dracones
effugiunt, saevaeque petunt Tritonidis arcem,
sub pedibusque deae, clypeique sub orbe teguntur.
Di seguito le medesime parole, disposte nella costruzione italiana, con una traduzione parola per parola.
Laocoon, ductus sacerdos Neptuno forte, mactabat ingentem taurum ad aras solemnes.
Laocoonte, nominato sacerdote di Nettuno per sorteggio, uccideva un grande toro presso i solenni altari.
Ecce autem a Tenedo per alta tranquilla [aequora]angues gemini(horresco referens) incumbunt pelago immensis orbibus,pariterque tendunt ad litora:
Ma ecco che da Tenedo, attraverso le acque tranquille, due serpenti gemelli (inorridisco nel raccontarlo) sovrastano il mare con le spire immense, e puntano la riva all’unisono:
i petti dei quali sono eretti sui flutti, e le creste vermiglie si innalzano oltre le onde: il resto del corpo sfiora il mare, dietro, e snoda il dorso in immense spire.
Sonitus fit salo spumante: iamque tenebat arvaet, oculos ardentes [acc. di rel.] suffectisanguine et igni, lambebant sibila ora linguis vibrantibus.
Un gorgoglio è generato dalla mare spumeggiante: già avevano raggiunto la costa e, con occhi ardenti iniettati di sangue e fuoco, lambivano le bocche sibilanto con lingue vibranti.
Diffugimus exangues visu: illi petunt Laocoonta, agmine certo, et primum uterque serpensamplexusimplicat parva corporaduorum natorum, et depasciturmiseros artus morsu.
Scappiamo con visi esangui: essi puntano Laocoonte, con andatura decisa, e prima i due serpenti stringono, avvolti, i piccoli corpi dei due figli, e divorano i miseri arti a morsi.
Post corripiunt ipsum [Laocoonta], auxilio subeuntem ac tela ferentem, et ligantspiris ingentibus;
Quindi assalgono lo stesso Laocoonte, che accorre in soccorso e porta delle armi, e lo avvincono con le ingenti spire;
et iamamplexi bis medium[acc. di rel.], circumdati [timesi]squamea terga [acc. di rel.] bis collo, superant altiscapite et cervicibus.
e stretto due volte il busto [di Laocoonte], due volte avvolte intorno al collo le terga squamose, già torreggiano con il collo e il capo.
Ille simul tendit divellere nodos manibus, vittas perfusus[acc. alla greca]sanieet atro veneno; simul tollit horrendos clamoresad sidera:
Lui, con le bende imbevute di bava e veleno nero, tenta di sciogliere i nodi con le mani mentre leva orrende grida al cielo,
quales mugitus taurus [tollit], cum fugitsaucius aras, et excussit incertamsecurimcervice.
come i muggiti del toro che fugge ferito dall’altare mentre si squote dal collo la scure malferma.
At gemini draconeseffugiuntlapsu ad summa delubra, et petunt arcem saevaeTritonidis, et teguntur sub pedibus deae, et sub orbe clypei.
E i draghi gemelli fuggono strisciando verso gli alti santuari, e si dirigono all’altare della ostile Tritonia [Atena], e si nascondono sotto i piedi della dea, sotto il cerchio dello scudo.
Di seguito il codice in Octave che genera Figura 1, risolvendo numericamente (metodo di Runge-Kutta) il sistema di tre equazioni differenziali ordinarie seguente:
Eq. 2)
dove è il versore relativo al campo vettoriale in Eq. 1. Il codice funziona qualunque sia il campo vettoriale inserito nella funzione interna allo script (vectorial_field). Ho scritto questo codice nel 2021, come dimostrazione del metodo di ricostruzione delle fibre di materia bianca nella risonanza magnetica cerebrale con trattografia (Maccallini P. 2021).
% file name = tractography
% date of creation = 05/02/2021
% it plots the trajectory of a fibre, given a vectorial field of diffusion
% eigenvector epsilon_1
clear all
close all
% vectorial field
v = [0,0,3];
w = [0,0,3];
ic = [1.5,1.5,0];
delta_s = 0.5;
function v_f = vectorial_field (x,y,z,v,w)
v_f = v + cross(w,[x,y,z]);
v_f = v_f/sqrt(v_f(1)^2+v_f(2)^2+v_f(3)^2);
endfunction
% we set the initial conditions for the first fiber
lambda(1:4,1:3)=0.;
x(1) = ic(1);
y(1) = ic(2);
z(1) = ic(3);
% integration for the first fiber
vector = vectorial_field (x(1),y(1),z(1),v,w);
lambda(1,1) = vector(1);
lambda(1,2) = vector(2);
lambda(1,3) = vector(3);
n = 40;
for i=1:n-1
for k=2:4
vector = vectorial_field (x(i)+lambda(k,1)*delta_s/2,y(i)+lambda(k,2)*delta_s/2,z(i)+lambda(k,3)*delta_s/2,v,w);
lambda(k,1) = vector(1);
lambda(k,2) = vector(2);
lambda(k,3) = vector(3);
endfor
x(i+1) = x(i)+(lambda(1,1)+2*lambda(2,1)+2*lambda(3,1)+lambda(4,1))*delta_s/6;
y(i+1) = y(i)+(lambda(1,2)+2*lambda(2,2)+2*lambda(3,2)+lambda(4,2))*delta_s/6;
z(i+1) = z(i)+(lambda(1,3)+2*lambda(2,3)+2*lambda(3,3)+lambda(4,3))*delta_s/6;
vector = vectorial_field (x(i+1),y(i+1),z(i+1),v,w);
quiver3 ( x(i+1),y(i+1),z(i+1),vector(1),vector(2),vector(3),'-k' )
hold on
endfor
plot3 (x(1:n),y(1:n),z(1:n),'-r','LineWidth',4)
pbaspect ([1, 1, 1])
hold on
% we set the initial conditions for the second fiber
ic = [2.8,2.8,0];
x(1) = ic(1);
y(1) = ic(2);
z(1) = ic(3);
% integration for the second fiber
vector = vectorial_field (x(1),y(1),z(1),v,w);
lambda(1,1) = vector(1);
lambda(1,2) = vector(2);
lambda(1,3) = vector(3);
for i=1:n-1
for k=2:4
vector = vectorial_field (x(i)+lambda(k,1)*delta_s/2,y(i)+lambda(k,2)*delta_s/2,z(i)+lambda(k,3)*delta_s/2,v,w);
lambda(k,1) = vector(1);
lambda(k,2) = vector(2);
lambda(k,3) = vector(3);
endfor
x(i+1) = x(i)+(lambda(1,1)+2*lambda(2,1)+2*lambda(3,1)+lambda(4,1))*delta_s/6;
y(i+1) = y(i)+(lambda(1,2)+2*lambda(2,2)+2*lambda(3,2)+lambda(4,2))*delta_s/6;
z(i+1) = z(i)+(lambda(1,3)+2*lambda(2,3)+2*lambda(3,3)+lambda(4,3))*delta_s/6;
vector = vectorial_field (x(i+1),y(i+1),z(i+1),v,w);
quiver3 ( x(i+1),y(i+1),z(i+1),vector(1),vector(2),vector(3),'-k' )
hold on
endfor
plot3 (x(1:n),y(1:n),z(1:n),'-b','LineWidth',4)
pbaspect ([1, 1, 1])
grid on
Catullo ha scritto quasi 21 secoli fa ma è contemporaneo, sia per il linguaggio che per il contenuto. Solo la lingua è antica; ma sopravvissuta plus uno perenne saeclo, se si pensa che ancora all’inizio del Novecento il latino si usava per gli articoli scientifici (R) e Newton usò il latino per scrivere quella che è (e forse rimarrà per sempre) la singola opera scientifica più importante in assoluto, i Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (1687). Non dico nulla di nuovo, lo so; ma può darsi che, se tornerete a Catullo dopo una vita, scoprirete davvero questa banalità per la prima volta, come è successo a me. Catullo ha detto già tanto, forse tutto, sull’amore, l’amicizia, e il dolore. E quello che manca non ha potuto dirlo solo perché quella notte che est perpetua una dormienda, per lui è arrivata troppo presto, negandogli le esperienze della maturità e della vecchiezza. Ma in fondo, si dice, i poeti (come i matematici) non possono sopravvivere alla giovinezza, se non a costo di cambiare mestiere.
I carmi di Catullo sono come i vecchi codici di integrazione numerica in FORTRAN: un paradigma che si ripete in ogni linguaggio, mai più universale però come la prima volta. Scritti una volta per tutte, destinati ad essere copiati per sempre: in Python, Matlab, Julia, Octave, R, e tutti i compilatori che verranno.
Qui propongo la traduzione di due carmi, tra i più famosi (come se ce ne fosse bisogno): il carme CI l’ho reso in endecasillabi, il carme VIII con versi composti, forzati dalle interrogative finali, che non sembrano ammettere una riduzione. Una traduzione è sempre opera del traduttore, non sarà mai fedele: la speranza di rendere i suoni, le allitterazioni, e il ritmo è talmente vana da essere folle. E poi la grafia, anche quella forse conta: le V con la loro simmetrica decisione, le P al vento, le morbide B. Tutto significa qualcosa e non tutto è traducibile. Catullo poi sembra davvero non avere bisogno di essere attualizzato: è un uomo come noi. Per cui questo è soprattutto un invito a rileggere l’originale.
Con la speranza, nel tempo, di aggiungere altre traduzioni, anche di altri autori.
(Foto: affresco della Villa dei Misteri, Pompei, prima del 23 d.C.)
Catulli veronensis carmina, CI (3 agosto 2022)
Per distese di acque, di gente in gente
giungo qui al tuo mesto funerale
per onorarti con l'ultimo dono
e parlare alla tua cenere muta,
fratello che la sorte mi ha già tolto,
strappato, ahimè, così crudelmente.
Accetta doni funebri almeno,
secondo la tradizione dei padri,
bagnati del pianto mio fraterno.
Ti saluto, ora e per sempre addio.
Per il testo originale e la lettura metrica si veda qui.
Catulli veronensis carmina, VIII (luglio 2022)
Povero Catullo, dalla follia desisti, e ora accetta che ciò che è perduto è perso. Giorni luminosi brillarono un tempo, quando ti affannavi dietro i capricci dell'amata come amata nessuna mai, si consumavano gli infiniti giochi d'amore che bramavi e lei non negava. Davvero brillarono giorni luminosi. Ma lei ora non vuole più e tu fa' altrettanto, non rincorrerla, affràncati dalla miseria, ma sopporta con animo ostinato, resisti. Addio, ragazza, ti resisterà Catullo, non ti cercherà più, non ti vorrà se non vuoi: ma soffrirai quando non sarai più voluta. Maledetta! Dove ti porta ora la vita? Chi verrà ora a trovarti? Per chi sarai bella? Chi amerai ora? Di chi sarai per il mondo? Chi bacerai? A chi morderai le labbra? Ma tu Catullo ostinatamente persisti.
Il verso 5 (amata nobis quam amabitur nulla) lo si ritrova quasi identico nel carme XXXVII, verso 12 (amata tantum quam amabitur nulla). Eppure tanto il carme VIII scorre su una nota di delicata sensibilità, quanto il 37 esprime una violenta, sconcertante, volgarità (si veda qui per una traduzione del XXXVII).
Per il testo originale e la lettura metrica si veda qui.
Catulli veronensis carmina, I (agosto 2022)
A chi dedico il nuovo libello, gioiello emendato d'ogni difetto? A te che eri solito, Cornelio, lodare queste mie cose da nulla, da quando solo sulla Penisola di tutto il Tempo ti cimentavi in tre volumi ponderosi e dotti, per Giove, a raccontare ricordi. Accetta pertanto questo libello, per ciò che vale e che sopravvivere, Signora fanciulla, possa per sempre.
Per il testo originale e la lettura metrica si veda qui.
Aeneis, Liber II, v 201-224 (Agosto 2022)
Assegnato al culto del dio Nettuno
Laocoonte un degno toro offriva.
Ma da Tenedo adesso le calme acque
sovrastano immensi due serpenti
che speculari puntano la costa,
i colli eretti tra i flutti, vermiglie
le creste sopra le onde, immensa mole
del corpo si snoda, e sfiora il mare.
Scroscio di schiuma, e sono sulla riva,
gli occhi iniettati di sangue di fuoco,
lingue vibranti e labbra sibilanti.
Fuggiamo, a Laocoonte aspirano,
ma prima i piccoli corpi dei figli
ambedue i serpenti avvolti stringon
e ingoiano i morsi dei miseri arti.
Poi assalgono il padre accorso in aiuto
armato che nelle spire è legato;
e già su di lui torreggiano, stretto
due volte il busto, per due il collo avvinto.
Mentre tenta di liberare i nodi,
le vesti pregne di bava letale,
grida disumane lancia alle stelle,
qual mugge il toro che l'altare fugge
scuotendo il collo, la malferma scure.
Reso in edencasillabi. Di seguito riporto il conteggio delle sillabe, tenendo conto delle sinalefe.
as
se
gna
toal
cul
to
del
dio
Net
tu
no
La
o
co
on
te
de
gno
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roof
fri
va
ma
da
Te
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doa
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cal
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que
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vra
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men
si
du
e
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pen
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cu
la
ri
pun
ta
no
la
cos
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lie
ret
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trai
flut
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ver
mi
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le
cre
ste
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pra
leon
deim
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sa
mo
le
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cor
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si
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sfio
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ma
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scro
scio
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schiu
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ti
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san
guee
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gue
vi
bran
tie
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bra
si
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lan
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gia
moa
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co
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spi
ra
no
ma
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mai
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co
li
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du
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vol
ti
strin
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go
ia
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si
dei
mi
se
riar
ti
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go
noil
pa
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to
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le
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gia
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su
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mug
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to
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che
lal
ta
re
fug
ge
scuo
ten
doil
col
lo
la
al
fer
ma
scu
re
L’intero secondo libro della Eneide in latino si trova qui. In particolare, i versi tradotti sono i seguenti.
Laocoon, ductus Neptuno forte sacerdos,
solemnes taurum ingentem mactabat ad aras.
Ecce autem gemini a Tenedo tranquilla per alta
(horresco referens) immensis orbibus angues
incumbunt pelago, pariterque ad litora tendunt:
pectora quorum inter fluctus arrecta, iubaeque
sanguineae exsuperant undas: pars cetera pontum
pone legit, sinvatque immensa volumine terga.
Fit sonitus spumante salo: iamque arva tenebant,
ardentesque oculos suffecti sanguine, et igni,
sibila lambebant linguis vibrantibus ora.
Diffugimus visu exsangues: illi agmine certo
Laocoonta petunt, et primum parva duorum
corpora natorum serpens amplexus uterque
implicat, et miseros morsu depascitur artus.
Post ipsum auxilio subeuntem ac tela ferentem
corripiunt spirisque ligant ingentibus; et iam
bis medium amplexi, bis collo squamea circum
terga dati, superant capite et cervicibus altis.
Ille simul manibus tendit divellere nodos
perfusus sanie vittas atroque veneno;
clamores simul horrendos ad sidera tollit,
quales mugitus, fugit cum saucius aras
taurus et incertam excussit cervice securim.
At gemini lapsu delubra ad summa dracones
effugiunt, saevaeque petunt Tritonidis arcem,
sub pedibusque deae, clypeique sub orbe teguntur.
Di seguito le medesime parole, disposte nella costruzione italiana, con una traduzione parola per parola.
Laocoon, ductus sacerdos Neptuno forte, mactabat ingentem taurum ad aras solemnes.
Laocoonte, nominato sacerdote di Nettuno per sorteggio, uccideva un grande toro presso i solenni altari.
Ecce autem a Tenedo per alta tranquilla [aequora]angues gemini(horresco referens) incumbunt pelago immensis orbibus,pariterque tendunt ad litora:
Ma ecco che da Tenedo, attraverso le acque tranquille, due serpenti gemelli (inorridisco nel raccontarlo) sovrastano il mare con le spire immense, e puntano la riva all’unisono:
i petti dei quali sono eretti sui flutti, e le creste vermiglie si innalzano oltre le onde: il resto del corpo sfiora il mare, dietro, e snoda il dorso in immense spire.
Sonitus fit salo spumante: iamque tenebat arvaet, oculos ardentes [acc. di rel.] suffectisanguine et igni, lambebant sibila ora linguis vibrantibus.
Un gorgoglio è generato dalla mare spumeggiante: già avevano raggiunto la costa e, con occhi ardenti iniettati di sangue e fuoco, lambivano le bocche sibilanto con lingue vibranti.
Diffugimus exangues visu: illi petunt Laocoonta, agmine certo, et primum uterque serpensamplexusimplicat parva corporaduorum natorum, et depasciturmiseros artus morsu.
Scappiamo con visi esangui: essi puntano Laocoonte, con andatura decisa, e prima i due serpenti stringono, avvolti, i piccoli corpi dei due figli, e divorano i miseri arti a morsi.
Post corripiunt ipsum [Laocoonta], auxilio subeuntem ac tela ferentem, et ligantspiris ingentibus;
Quindi assalgono lo stesso Laocoonte, che accorre in soccorso e porta delle armi, e lo avvincono con le ingenti spire;
et iamamplexi bis medium[acc. di rel.], circumdati [timesi]squamea terga [acc. di rel.] bis collo, superant altiscapite et cervicibus.
e stretto due volte il busto [di Laocoonte], due volte avvolte intorno al collo le terga squamose, già torreggiano con il collo e il capo.
Ille simul tendit divellere nodos manibus, vittas perfusus[acc. alla greca]sanieet atro veneno; simul tollit horrendos clamoresad sidera:
Lui, con le bende imbevute di bava e veleno nero, tenta di sciogliere i nodi con le mani mentre leva orrende grida al cielo,
quales mugitus taurus [tollit], cum fugit saucius aras, et excussit incertamsecurimcervice.
come i muggiti del toro che fugge ferito dall’altare mentre si squote dal collo la scure malferma.
At gemini draconeseffugiuntlapsu ad summa delubra, et petunt arcem saevaeTritonidis, et teguntur sub pedibus deae, et sub orbe clypei.
E i draghi gemelli fuggono strisciando verso gli alti santuari, e si dirigono all’altare della ostile Tritonia [Atena], e si nascondono sotto i piedi della dea, sotto il cerchio dello scudo.
Aeneis, Liber IV, v 607-621 (Gennaio 2023)
Sole, tu che illumini i giorni umani,
Giunone, che sai del mio dolore,
Ecate, che tormenti i sonni urbani.
E voi Dire e dèi d'Elissa che muore,
se sventura benevolenza vale,
ascoltatemi. Poiché l'impostore
le ancore getterà al litorale
e questo Giove comanda che accada,
almeno che un nemico eccezionale
incontri, solitario esule vada,
implori aiuto, e veda le morti
amare dei suoi e la vita non goda
e il trono e il regno a pace iniqua porti.
Ma cada anzitempo e senza sepolcro.
Ciò chiedo col sangue per le sue sorti.
Terzine con rime ABA, BCB, …. Di seguito riporto il conteggio delle sillabe, tenendo conto delle sinalefe.
So
le
tu
cheil
lu
mi
nii
gior
niu
ma
ni
Giu
no
ne
che
sai
del
mi
o
do
lo
re
E
ca
te
che
tor
men
tii
son
niur
ba
ni
e
voi
Di
raee
déi
d’E
lis
sa
che
muo
re
se
sven
tu
ra
be
ne
vo
len
za
va
le
as
col
ta
te
mi
poi
ché
l’im
pos
to
re
lean
co
re
get
te
rà
al
li
to
ra
le
e
ques
to
Gio
ve
co
man
da
cheac
ca
da
al
me
no
cheun
ne
mi
coec
cez
zio
na
le
in
con
tri
so
li
ta
rioe
su
le
va
da
im
plo
ria
iu
to
e
ve
da
le
mor
ti
a
ma
re
dei
suoie
la
vi
ta
non
go
da
eil
tro
noeil
re
gnoa
pa
cei
ni
qua
por
ti
Ma
ca
daan
zi
tem
poe
sen
za
se
pol
cro.
Ciò
chie
do
col
san
gue
per
le
sue
sor
ti
L'intero quarto libro della Eneide in latino si trova qui. In particolare, i versi tradotti sono i seguenti.
Sol, qui terrarum flammis opera omnia lustras;
tuque harum interpres curarum et conscia, Iuno,
nocturnisque Hecate triviis ululata per urbes,
et Dirae ultrices, et di morientis Elisae,
accipite haec: meritumque malis advertite numen,
et nostras audite preces. Si tangere portus
infandum caput, ac terris adnare necessest:
et si fata Iovis poscunt; hic terminus haeret:
at bello audacis populi vexatus, et armis,
finibus extorris, complexu avulsus Iuli,
auxilium imploret, videatque indigna suorum
funera: nec, cum se sub leges pacis iniquae
tradiderit, regno aut optata luce fruatur:
sed cadat ante diem mediaque inhumatus arena.
Haec precor, hanc vocem extremam cum sanguine fundo.
Di seguito le medesime parole, disposte nella costruzione italiana, con una traduzione parola per parola.
Sol, qui flammis opera omnia terrarum lustras;
Sole, che illumini con il fuoco tutte le attività della Terra;
et tu, Iuno, interpreset consciaharum curarum,
e tu, Giunone, intermediaria e complice di questi affanni
et Hecate ululata nocturnistriviis per urbes,
e Ecate, invocata con ululati nei trivi di notte, per le città,
et Dirae ultrices, et di morientis Elisae,
e Dirae vendici, e dèi di Elissa che muore
accipite haec: et advertite malis meritumnumen, et nostras audite preces.
accettate queste [parole] e rivolgete alle sventure la meritata benevolenza, e ascoltate le mie preghiere.
Si necessestinfandum caput tangere portusac terris adnareet si fata Iovis poscunt
Se è inevitabile che lo scellerato debba toccare il porto e raggiungere la terra e questo stabilisce il volere di Giove,
hic terminus haeret: at vexatus bello et armisaudacis populi,
che così sia: almeno sia vessato dalla opposizione armata di un popolo audace,
finibus extorris, avulsus complexu Iuli, auxilium imploret,
sia bandito dal territorio, lontano dall’abbraccio di Iulio, implori aiuto,
videatque indigna suorum funera: nec, cum se tradideritsub leges iniquae pacis, regno aut optata luce fruatur:
assista alla morte indegna dei suoi, né – sottopostosi a un patto iniquo di pace – goda il regno e la dolce vita:
sed cadat ante diem et inhumatus media arena.
ma cada anzi tempo e resti senza sepoltura sulla spiaggia.
Haec precor, hanc vocem extremam cum sanguine fundo.
Di questo vi supplico; queste ultime parole pronuncio col sangue.
Catulli veronensis carmina, V (Buenos Aires, 11 febrero 2023)
Lasciati amare, Lesbia, e vivere
e i commenti dei vecchi, invidiosi
valgano le monete più misere.
Giorni seguono giorni luminosi
ma esaurito il nostro breve momento
per sempre dormiremo silenziosi.
Dammi mille baci, e poi altri cento,
dammene ancora mille e cento ancora,
poi mille e più sulle labbra un accento.
E se su migliaia sorge l'aurora
ne confondiamo il numero perché
non è malevolo chi gioia ignora,
chi non sa quanti baci, tra te e me.
Per il testo originale e la lettura metrica si veda qui.