Di Paolo Maccallini

Introduzione

Gli esami per la rilevazione della infezione da Borrelia burgdorferi si dividono in due grandi categorie: i test diretti si basano sulla ricerca del batterio, del suo materiale genetico, oppure di suoi antigeni (ad es. proteine); i metodi indiretti cercano tracce di una risposta immunitaria specifica (principalmente anticorpi) del paziente contro la spirocheta. Per quanto riguarda i metodi indiretti si veda il post sulle proteine immunogeniche del batterio, quello sul test ELISA e il post sui test di stimolazione linfocitaria. Nel seguito verranno discussi i principali metodi diretti.

Coltura del batterio

La coltura del batterio da campioni biologici provenienti dal paziente è considerata la prova principe per la dimostrazione di una infezione attiva da B. burgdorferi sl. La spirocheta può essere coltivata da vari campioni organici su terreno di Barbour-Stoenner-Kelly II (BSK-II), di BSK-H, e di Kelly-Pettenkofer (MKP), i quali consentono di ottenere una concentrazione massima di  spirochete per ml di coltura. I campioni possono essere biopsie cutanee da eritema migrante, da linfocitoma borreliosico, da ACA, oppure liquido cerebrospinale e sangue. Le eventuali spirochete visibili al microscopio devono poi essere identificate attraverso la ricerca di sequenze specifiche di DNA con metodo PCR, oppure attraverso l’uso di anticorpi per i quali sia nota la specificità verso antigeni di superficie di B. burgdorferi sl. La sensibilità della procedura varia a seconda del campione utilizzato (vedi Tabella 1) e come si vede presenta il suo massimo per le biopsie cutanee da eritema migrante ed è quasi nulla per il liquido sinoviale; la specificità può essere considerata pari al 100% e di fatto la coltura costituisce il gold standard per quanto riguarda questo parametro (Aguero-Rosenfeld ME et al. 2005). Il fatto che la sensibilità sia modesta, se non nel caso di biopsia da EM, e la considerazione che eseguire correttamente la coltura di B. burgdorferi sl richieda un alto grado di specializzazione e sostanze non facilmente reperibili, rende questo metodo scarsamente utilizzato nella pratica (Stanek G et al. 2011). Da un punto di vista storico si segnala che il terreno BKS fu inventato da Alan Barbour e HG Stoenner (1986), modificando il terreno di Kelly (già usato per far crescere le Leptospire) (Trevisan G et al. in Mario Pippione, Dermatologia e malattie sessualmente trasmissibili, 2015).

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Tabella 1. Sensibilità e specificità della coltura in funzione del tipo di campione biologico analizzato e dello stadio della malattia (Aguero-Rosenfeld ME et al. 2005), dati per il territorio europeo.

PCR

Il secondo metodo diretto per la rilevazione di B. burgdorferi sl nei pazienti è la ricerca del materiale genetico del batterio con metodo PCR (polymerase chain reaction). Questa tecnica si basa sulla amplificazione di sequenze nucleotidiche, ricorrendo agli stessi enzimi (le DNA-polimerasi) che in natura le cellule utilizzano per sintetizzare una elica di DNA a partire da quella complementare. Il metodo richiede una quantità anche minima della sequenza che si desidera amplificare, la quale deve essere denaturata, ovvero divisa nelle due eliche componenti; richiede inoltre due inneschi (detti primer), cioè un tratto iniziale e un tratto finale della sequenza di interesse, nonché la presenza dell’enzima DNA-polimerasi. La procedura fu messa a punto nel 1983 da Kary Mullis, uno stravagante biochimico statunitense che all’epoca lavorava per una società di biotecnologie (Mullis, K. Danzando nudi nel campo della mente, 2013).

La prima PCR per la ricerca di geni di B. burgdorferi sl risale al 1989 (Rosa, PA et al. 1989) e da allora diversi approcci a questo test sono stati sviluppati per la malattia di Lyme, variando per tipologia di PCR (qualitativa o quantitativa) e per i geni amplificati, oltre che per altri parametri minori. Molti geni sono stati oggetto di indagine come possibile target della PCR, ma nella pratica clinica sono usati i geni cromosomiali flaB, p66, 16S rRNA (Bonin S 2016), e hbb (Portnoi D et al. 2006) oppure il gene per OspA, che si colloca in un plasmide (Cerar T et al. 2008). La sensibilità della PCR è generalmente bassa, se non nel caso di PCR su biopsia cutanea di EM e ACA e su liquido sinoviale di artrite di Lyme (vedi Tabella 2); la specificità si può ritenere del 98-100%, purché i test siano eseguiti con scrupolo (Mygland A et al. 2010). Poiché alcuni plasmidi possono essere presenti in copie multiple, le PCR per geni plasmidici dovrebbero garantire una maggiore sensibilità (Bonin S 2016), inoltre altro sistema per aumentare la sensibilità è effettuare una ricerca simultanea con due o più primer (Priem S et al. 1997).

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Tabella 2. Sensibilità e specificità della PCR in funzione del tipo di campione biologico analizzato e dello stadio della malattia (Auguero-Rosenfeld et al. 2005), (Cerar T et al. 2008), (Mygland A et al. 2010). Dati per la popolazione europea. I valori in grigio sono solo presunti.

In conclusione, l’uso della PCR nella diagnosi della malattia di Lyme costituisce un metodo ad altissima specificità, ma con sensibilità spesso bassa. Inoltre il metodo non ha mai subìto un percorso di standardizzazione e i procedimenti proposti dai vari laboratori sono eterogenei (Bonin S 2016). È tuttavia importante notare che la PCR può essere dirimente in casi con sierologia dubbia, essendoci indizi che sia positiva nel sangue soprattutto in soggetti sieronegativi (Mouritsen CL et al. 1996).

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Esemplare tipo di Borrelia burgdorferi sl, rappresentato nel suo fenotipo a spirocheta con sviluppo sinusoidale piano. Disegno di Paolo Maccallini.

Microscopia

Borrelia burgdorferi sl può essere riscontrata anche con un esame visivo di liquidi biologici, come il liquido cerebrospinale dei pazienti, attraverso la procedura detta microscopia in campo oscuro, oppure tramite colorazione di preparati istologici. Tuttavia, in entrambi i casi la sensibilità e la specificità è bassa (Mygland A et al. 2010). Recentemente una particolare tecnologia istochimica, definita focus floating microscopy (FFM), ha dimostrato una elevatissima sensibilità (il 96%) e una specificità del 99.4% in biopsie cutanee da eritema migrante e linfocitoma borreliosico (Eisendle K et al. 2007). Ad oggi questo metodo è però largamente trascurato (Bonin S 2016), forse perché il successo della tecnica dipende dalle capacità e dalla pazienza dell’istologo.

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